L’ interesse per l’ esistenza risiede quasi tutto nelle giornate in cui la polvere della realtà è mista a sabbia magica” Marcel Proust

Quando le orme sulla neve disegnano strani geroglifici dove possiamo leggere quello che saremmo potuti diventare, quando le fusa immacolate di una gatta diventano la sola cattedrale dove possiamo invocare il nostro Dio, quando il sapore di un semplice biscotto ci riporta all’infanzia dove possiamo venire a capo del nostro filo, quando i micro-cosmi ritmici di Rich preparano sontuose tavolozze dove i pennelli di Roach possono trarre i colori necessari per le sue sfumature intimiste.

Istanti privilegiati che spariscono in un battito di ciglia, epifanìe sfuggenti che si sciolgono sul palmo di una mano: per un attimo la polvere della realtà è impastata con una specie di sabbia magica.

E poi più nulla.

Rimane un solco, un vapore, un senso di perdita, di commozione, di gratitudine, di impossibilità.

E poi più nulla.

O meglio, ci resta “Strata”.

La filosofia di Roach, la sua mistica che spazia dall’esotismo all’esoterismo, i suoi synths pastosi e tracimanti, i suoi sequencers sinuosi ed anelanti. Una sorta di sabbia magica che in “Strata” si àncora al terreno.

L’attitudine organica di Rich, il brulichìo dei suoi mondi micro-cellulari dove i frammenti elettronici si propagano da un centro ben preciso, lo sferruzzare dei suoi arnesi da orologiaio sotto la lente d’ingrandimento di una matematica precisione. Una sorta di granulosità in continuo divenire, una sorta di pulviscolo, di polvere terrena che in “Strata” si libra nei cieli dello spirito.

Roach è trattenuto da Rich e Rich è elevato da Roach.

E il disco sfila come un funambolo sul filo sottilissimo di un ambient cangiante e sfumata dove i carotaggi sonori sono all’instancabile ricerca di una qualche verità primigenia.

Le percussioni, i fiati, i rintocchi di Rich ravvivano la brace di falò rituali, propiziano culti animisti che benedicono imminenti battute di caccia e bagnano di riflessi bronzei gli scudi rudimentali costruiti dai primi uomini sulla Terra.

Le stasi, le contemplazioni di Roach dipingono pitture rupestri sulle pareti della psiche, trasecolano con le lacrime agli occhi fissando il supremo mistero della luna e si fondono in magma astratti che sfiorano il fascino della musique concrète.

Una sorta di primitivismo ambientale, di essenzialità di colori, di linee e di forme che si cristallizzano per un attimo in màndala dai colori vividissimi per poi dissolversi e ricominciare a volteggiare a mezz’aria in attesa di una successiva coagulazione sonora.

Rich e Roach, polvere e sabbia, realtà e magia…

… Ed io alla perenne, vana, necessaria ricerca del tempo perduto.

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