Chi ha frequentato facoltà di storia del cinema all'Università, o è semplicemente un cinefilo, sa quanto è fondamentale la figura di Roberto Rossellini nel mondo del cinema. Anche più di Fellini e De Sica (che a me, pero', piacciono di più), s'inventò il neorealismo (o comunque lo identificò attraverso parametri ben definiti, perchè, forse, il primo film neorealista è "I bambini ci guardano", 1943, di Vittorio De Sica), anticipò alcune intuizioni della nouvelle vague ed ebbe il coraggio, all'apice del successo, di dedicarsi alla realizzazione di film sperimentali e, totalmente, anticommerciali. Negli anni Sessanta e Settanta diresse alcuni documentari per la Rai e, come ultimo atto della propria vita, da presidente del Festival di Cannes 1977 si battè fino allo stremo affinchè la Palma d'Oro andasse al bellissimo "I duellanti" di Ridley Scott.
Fu così che, nel sul finire degli anni Quaranta, si innamorò di Ingrid Bergman. Lei diva di Hollywood con l'Oscar già in tasca, lui regista colto e affermato che con i suoi "Roma città aperta" e "Paisà" aveva già conquistato l'Italia e l'America. La loro storia d'amore fece scandalo e provocò una celebre rivalità tra la Bergman e la Magnani (l'ex di Rossellini) che culminò nella cosiddetta guerra dei Vulcani (Magnani, Rossellini e la guerra dei due vulcani (associazioneculturalecalipso.it).
Lei, la Bergman, ebbe coraggio a lasciare Hollywood per l'Italia e lui, Rossellini, ebbe altrettanto coraggio nello scriverle addosso dei film talmente lontani dall'iconografia classica americana che fecero scoppiare due rivolte cinematografiche: il pubblico americano liquidò la Bergman (che era svedese) come una specie di traditrice che rinnegava il paese che le aveva dato fama e fortuna (salvo poi tornarci nel 1956, a storia con Rossellini terminata, protagonista di "Anastasia" accanto a Yul Brynner e subito premiata con un secondo Oscar) e lo sdegno del pubblico italiano che vide questa nuova era rosselliniana come un qualcosa di volutamente contorto e snob.
Certo, i film della coppia Rossellini-Bergman non sono tra le cose più facili del mondo ("Stromboli, terra di Dio",1950; "Europa '51", 1952). "Viaggio in Italia", 1954, è il culmine del loro viaggio. Amatissimo da Martin Scorsese (che l'ha omaggiato titolando un suo celebre documentario sul cinema italiano proprio "Viaggio in Italia"), elogiato dai Cahiers du Cinéma (Truffaut ne ricopierà lo stile a mani basse), snobbato in Italia, è uno dei punti più alti mai raggiunti dal cinema non solo italiano.
Con uno stile compassato e silenzioso, alternando momenti di chiacchericcio a momenti (molti momenti) di assoluta pace sonora, "Viaggio in Italia" racconta la storia di una coppia inglese piuttosto benestante che, dovendo sistemare una questione ereditaria, giunge a Napoli. Sono una coppia che poco ha ancora da dirsi, sfaldata dall'abitudine e dalla grigia quotidianità. Lui si rifugia in qualche amicizia italiana, lei fa la turista tra musei e rovine (siamo in un'Italia ancora profondamente segnata dalle macerie del dopoguerra). Una processione a Maiori, Salerno, potrebbe, forse, salvare il loro matrimonio. Ma sarà così?
Esaltando al massimo la bellezza di Napoli e dintorni (la Sibilla Cumana; il cimitero delle Fontanelle; Capri; Pozzuoli; l'Hotel Excelsior) Rossellini muove la macchina da presa come fosse un turista rapito non dalle bellezze del luogo ma dalle vicende di una coppia di sconosciuti. C'è già molto del cinema di Antonioni, c'è l'alienazione di un nuovo mondo (quello post-bellico), c'è il Nulla che si mangia le vite dei protagonisti, c'è il vuoto pneumatico di un'esistenza che sembra essere arrivata al capolinea. Spesso nemmeno servono le parole: gli sguardi, la prossemica, dicono già tutto. I due protagonisti (strepitosi sia la Bergman sia il, purtroppo, dimenticato George Sanders) sembrano due fantasmi tra i calchi di gesso di Pompei.
Molto breve (dura solo 79') è il culmine della poetica rosselliniana e del cinema dell'incomunicabilità. In fondo, Antonioni si limiterà a riproporre, a suo modo, argomenti e concetti già espressi da Rossellini in un pugno di film compresi tra il 1950 e il 1954, di cui "Viaggio in Italia" rappresenta l'ultima, estrema, tappa.
Disastro commerciale, fu il film che fece di Rossellini un cattivo soggetto agli occhi dei produttori, che cominciarono a finanziarlo sempre meno volentieri (tranne quando decideva di dedicarsi ad un cinema più popolare e commerciale, si veda il comunque ottimo "Il generale della Rovere", 1959, con protagonista l'asso pigliatutto del box-office italiano dell'epoca Vittorio De Sica).
Opera imprescindibile, direi totale.
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