Ecco qua il quarto album (1981) degli americani Rockets, dediti ad un rock’n’roll blues robusto e senza fronzoli, assistito da una buona vena melodica, con un’eccellente spinta ritmica ed un fuoriclasse misconosciuto a staccare assoli perfetti. Non è famoso Jim McCarty, tranne che per gli addetti ai lavori, per i quali è leggenda vivente.

Dice per esempio Ted Nugent, suo collega e concittadino, uno che spara minchiate a tutto andare su politica, caccia, armi, cibo, donne, razze e religioni, ma che di musica e di chitarra ci capisce: “I'm the only guy in rock’n’roll that plays that hollow body jazz guitar (Gibson Byrdland), and it's because I saw Jim McCarty creating those big fat full chords like I do on "Stranglehold"; I learned that from Jimmy McCarty. Remember the name Jim McCarty. He is as important as Bo Diddley and Chuck Berry and Les Paul… a god on guitar!”.

Il dio in questione a’sto giro non si impegna più di tanto, giusto in “Love for Hire”, che suona un pò sudista con quell’arpeggio largo e insistente, poi anche in “I Can’t Get Satisfied” che è rock’n’roll più che adeguato (ce ne sono pochi, stavolta, c’è più soul mediamente), con tanto di pianetto saltellante, basso slappato, chitarre troppo giuste, e infine nell’adrenalinica “I’ll Be Your Lover”.

Per il resto, vale la pena appizzare le orecchie alla simil Doobie Brothers “Lift You Up”, alla vagamente rollingstoniana “Shanghaied” (bel titolo), agli umori nuovamente southern di “Tired of Wearing Back” (grande slide), all’agganciante coro nel ritornello di “American Dreams”; fino all’ultima chicca “Lie to Me”, la più bella del lotto, un rhythm & blues cantato dal batterista Badanjek.

Bella la copertina. Mi ricorda certe donne che hanno incrociato la mia vita in modo più o meno importante, fatidico, stressante: tanto belle e affascinanti, quanto sempre a questionare su quello che dici o non dici, quello che fai o non fai. Giorno e notte. Ma come fanno.

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