Chi è rimasto orfano degli Ayreon e ne sente la nostalgia, non può certo perdersi questo interessante album dei Roswell Six, uno dei tanti supergruppi un po' prog e un po' metal che di tanto in tanto ci hanno deliziato nell'ultimo decennio, e del loro album Terra Incognita, che senza lasciare particolarmente stupefatti si dimostra un lavoro di buona qualità. Ciononostante, al termine dell'ascolto, per quanto possiate essere soddisfatti, continuerete a essere orfani degli Ayreon, e continuerete a sentirne la nostalgia.
Perchè questo "Terra Incognita", come detto, è un buon album con ottimi presupposti, venuto alla luce dai racconti di Kevin J. Anderson e supportato dalla presenza di James LaBrie (Dream Theater), Michael Sadler (ex-Saga), John Payne (Asia), Lana Lane e Gary Wehrkamp (Shadow Gallery).
Oh, Cielo, ho scritto James Labrie.
Qualcuno ha già evidenti sintomi di allergia epidermica che potrebbe risultare letale?
No? Bene.
Andiamo avanti, allora.
L'iniziale "Ishalem" è il biglietto da visita e, oltre a essere il brano più lungo e articolato dell'album, è probabilmente anche il migliore. Ottimo il comparto vocale con LaBrie e l'ottima Lana Lane, entrambi in grande spolvero, ora come in tutta la durata dell'album.
Musicalmente si può notare la voglia di non strafare, di prediligere la melodia immediata e spesso orecchiabile al pezzone ostico e tentacolare con cui spesso i supergruppi usano esibire i muscoli. Dopo la cavalcante "The Call of The Sea", veniamo colti da un pezzone travolgente in cui, al temibile grido di shan-gri-sula-ro (???) il buon James troneggia gridando "I am the point."
Notevoli e di sicuro effetto, pur nella loro semplicità, le due ballad decadenti e a tratti un po' stucchevoli, Letters in a bottle e Beyond the Horizon. Da sottolineare sicuramente Halfway, impreziosita dalla ottima performance di Lana Lane e da un interessante riff di chitarra.
Meno incisiva la seconda parte dell'album, con brani interlocutori come "The Winds of War e Swept Away", un instrumental ("The sinking of the Luminara") in cui si tenta di percorrere più decisamente il discorso progressive, ma con un esito che di certo non rimarrà negli annali. Riscatto finale con "Merciful Tides", che riprende smaccatamente "Letters in a Bottle", essendone la versione cantata da Lana e non solo acustica. La chiusura è affidata a un altro pezzo strumentale, "The Edge Of The World", una reprise dell'intero album.
Traendo le conclusioni si tratta di un album decisamente piacevole, di certo non eccelso, che ha favorito l'orecchiabilità al vi facciamo vedere noi le palle quadrate che teniamo qua sotto. Ottime le interpretazioni vocali dei solisti, qualche appunto al reparto strumentale, cui la maggior critica va imputata all'utilizzo di quella dannata tastiera techno molto anni 80 (presente "The Final Countdown"? però lì aveva senso) che piace anche molto ai gruppi power speed come i Rhapsody, e che ogni tanto dà un tocco un po' troppo epico. Trombesco, ecco.
Carico i commenti... con calma