Immagina di essere uscito a fare un giro ieri sera.

Immagina di aver indossato delle scarpe che quando cammini fanno rumore. Sei in questa stradina un pò stretta di città, inspiegabilmente buia e desolata. Immagina che ci sia solo la luce della luna, piena (così è tutto più blues). Immagina di esserti fatto qualche cicchetto di troppo (così è anche un pò rock). Ci sei. Ti sei lasciato dietro da un bel pò la folla rumorosa a tratti insostenibile della piazza, sbiascicando una scusa assolutamente equivoca circa la tua decisione improvvisa di andare via. Qualcuno se n'è accorto che te ne sei andato, qualcun altro no.

Comunque ora cammini a passo svelto su pavimentazione sconnessa giocherellando con 30 cent nella tasca della giacca e tutto ha un certo ritmo: le scarpe e i pantaloni che strusciano, la lattina e il tombino, i gatti e l'immondizia. Alzi la testa mentre pensi a stralci di poesia da due soldi generosamente ispirati dalla strada, dall'atmosfera, dalla tua condizione mentale. E quindi vai. Quando ad un tratto ti rendi conto di avere un riff di chitarra in testa che da tipo tre quarti d'ora ti stava solleticando freneticamente il cervello in quel delirio alcolico, come se qualcuno ti stesse scopando silenziosamente nel sonno e te ne accorgi solo ora. Ora capisci da dove veniva tutto quel ritmo attorno a te. Pensi: "Soul Dressing", è Roy Buchanan. Il CD che stavi ascoltando prima di uscire.

Qualcuno ha detto che Roy Buchanan era "il miglior chitarrista sconosciuto del mondo". Ah, e io sono "the most UNKNOWN in the world e basta". E vaffanculo. Hai una risata etilico-isterica. È passata. Continui ad avere quella serie di note in testa effetto-ipnosi e un groove epilettico dallo stomaco in giù. Intanto sei sotto casa, sali le scale inciampando due o tre volte, conti i piani così sembrano meno. Arrivi comunque spompato. Infili-giri-spingi la chiave entri in casa metti su il cd e vai dritto al cuore: -canzone numero tre- è una versione di "Hey Joe" talmente lunga, talmente lenta, talmente bella e talmente inaspettata che su certe note di quei nove minuti di delirio chitarristico ti viene quasi da piangere, con quelle esplosioni a 3 minuti a 30 che praticamente sono rasoiate elettriche, e poi ti spara "Purple Haze" nel finale...

L'alcool sta sfumando -ripensi alla serata trascorsa- parte "Lonely Days Lonely Nights": è lento ma non troppo. È soul-blues, credo: "there's been so lonely lonely nights, since i fell in love with you, tell me baby, what am i going to do?". Si, è decisamente blues. La voce è di Byrd Foster. Cazzo, la canteresti per ore. "Blues Otani": in qualche modo e da qualche parte tutta la libido soffocata dall'eroina e presa in giro dall'alcool deve venire fuori. Roy la fa venir fuori dalla sua Fender Telecaster color nocciola con la vernice scrostata, accompagnando un "Beibebabybabybeeeeeeeeeeibe" che farebbe crollare in ginocchio chiunque. E poi continua con il rock-blues indiavolato di "My Baby Says She's Gonna Leave Me". E poi sei già arrivato in fondo. Sarà l'alcool che restringe il tempo o sarà che ne vuoi ancora di questo suono che ti si artiglia ai fianchi e te li scuote in quella maniera sensuale e violenta, mentre una chitarra distorta ti sale direttamente al cervello. In ogni caso "Sweet Dreams" ti tira in alto: ha un sapore agrodolce e poi c'è un assolo da capogiro.

Roy diceva di essere per metà uomo e per metà lupo: io ci credo. A questo punto guardi la luna. È ancora lì. Ti tocchi una gamba, ti gratti la testa. È tutto a posto, sei un pò febbricitante. Hai appena provato delle sensazioni fantastiche.

Ora immagina di rimettere il CD dall'inizio. Fallo. E immagina di essere nella folla giapponese a quel concerto nel 1978. Come on and GET IT!

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