Premessa: non sarà una recensione "leggera".

Impossibile COMPRIMERE in una sola pagina (e il termine non appaia esagerato) quell'oceano di vita vissuta che, impetuoso, si gonfia e risucchia tra i suoi flutti per i quasi 18 minuti di "McGoohan's Blues". Qualcosa che ha pochi eguali nella vicenda musicale del Menestrello di Rusholme - ma, azzarderei, anche del Rock tutto. Un flusso torrenziale di rabbia, dolore, disillusione, rimpianto, sarcasmo - e lampi d'ironia amarissima; eppure, mai più lucido attacco era stato lanciato contro l'establishment e i suoi dogmi: ribelle ferito, disadattato, CAVIA sociale - Roy è il pazzo che, in quanto pazzo, è anche l'unico a poter vedere la verità per quello che è. Ma a differenza del beatlesiano pazzo sulla collina, che con gli occhi della testa vedeva la Terra girare, non sono verità cosmiche quelle che riesce a scrutare. Il suo terzo occhio vede l'orrore del mondo stuprato e mercificato, i mostri (quelli reali) che escono dallo schermo di un televisore ad avvinghiare coi loro tentacoli, lo Stato come un'immane macchina da guerra che prende con sé i suoi figli ignari, tutti (e indistintamente) pedine dello squallido gioco. 

Tutti, come Roy, "esperimenti sociali TAGLIATI SU MISURA" come la stoffa di un sarto. Ma non tutti, come lui, consapevoli di esserlo. Ecco che la distopica fiction incarnata da Patrick McGoohan, attore per la TV inglese e ispiratore del pezzo, si fa cruda realtà.

Atroce, brutale, spietata analisi - non epica né retorica, perché non ci può essere retorica quando ti guardi attorno e capisci che nulla cambierà, quando ti rendi conto di essere "l'allegro consumatore che finisce per essere il cibo di un banchetto più grande"... nel frattempo, al quotidiano lavaggio dei cervelli pensa la pubblicità, politici e uomini di chiesa hanno MOLTO da dire (la Chiesa e le sue proiezioni secolari: eccola, l'eterna bestia nera di Roy...) e nulla si smuove - "il villaggio in cui sono nato è anche quello in cui morirò, e non sono mai riuscito ad andarmene, per quanto ci abbia provato..."

...ma quando la musica cambia, alla chitarra si sovrappongono gli altri strumenti e i toni minori si fanno maggiori, un (minimo) spiraglio si apre: niente cambierà, è vero, ma "sono sulla mia strada, e il fiume mi trascina pur senza sapere dove, e mi lascio trasportare...". Forse il senso c'è, forse il senso è abbandonarsi alla corrente senza soffrire, e farsi tutt'uno con il vento che soffia via le ceneri dell'incendio... 

Forse.

"Folkjokeopus" (1969, opera terza di Roy Harper) è una mirabile combinazione di lunghezza e brevità, verbosità e sintesi, grandi affreschi e delicati quadretti... e una dichiarazione esplicita di assoluta anti-convenzionalità cantautorale. Che la Voce di quest'Uomo sia e rimanga patrimonio dell'UNESCO magari lo sapevate già, e su questo sarebbe superfluo indugiare, senonché... come restare indifferenti di fronte a una "She's The One" e alle sue impennate vocali spaventose...? - la più strana e "sui generis" canzone d'amore mai scritta (E' una canzone d'amore...?): un inno a una donna speciale, quella "che non ti manca finché non capisci che se n'è andata davvero", e per un po' pensi che quel TU sia generico e Roy stia parlando di sé stesso... quando invece la LEI è la moglie del suo amico-interlocutore silenzioso, di quello che non l'ha mai capita davvero - "hai con te una donna meravigliosa, e sei proprio uno scemo se la lasci andar via...". E quel falsetto...

...e quella dolcezza cristallina e quasi innaturale di "Composer Of Live" - arabeschi vocali a disegnare questa tenera """ninna-nanna""" per clavicembalo, o ancora la melodia giapponese di "In The Time Of Water" che - Voce a parte - non avrebbe sfigurato su un album di Robbie Basho... scenari diversi da quelli di una pop-song di fatto perfetta come la "Sgt. Sunshine" che apre i giochi, e da quel magistrale saggio di 12 corde che è "One For All": otto minuti quasi interamente strumentali (e anche qua Davey Graham e Bert Jansch, a metà tra India e folk-jazz albionico, sono ben presenti) e una sintesi di tecnica e passione che costringe a trattenere il respiro...

...e appunto, per riprendere fiato, la parentesi cabarettistica di "Exercising Some Control" e la chiusa (perfetta dopo la tensione di "McGoohan's") di "Manana", un po' Donovan e un po' Roy Harper - naturalmente - che il piano del vecchio Nicky Hopkins sa rendere sublime. 

E adesso riprendo fiato anch'io. 

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