Ho sempre avuto un debole per Roy Montgomery.

Il suo chitarrismo “acquatico” dove le note si espandono come onde circolari prodotte da un sasso lanciato in uno stagno, la sua ecletticità psichedelica che gli permette di spaziare fra vari stili senza perdere mai la sua inconfondibile timbrica, la varietà e la qualità delle collaborazioni con altri artisti che hanno dato vita negli anni ad autentici capolavori.

Scenes From the South Island” è stato il primo disco (strumentale) della sua carriera solista ed è un vero e proprio tributo e dichiarazione d’ amore alle isole del sud della sua terra d’origine: la Nuova Zelanda.

Quasi come un pittore che, prima di partire per un lungo viaggio intorno al mondo, raccolga i suoi acquerelli ed i suoi oli su tela in un album per mostrare alle genti di altre nazioni le sue radici, i pezzi del disco sembrano altrettanti paesaggi nei quali il sapiente pennello impressionista di Montgomery abbia trasfigurato la natura della sua madre patria, presentandocela prima di tutto come un’ inesauribile fonte di emozioni e sensazioni.

Along the Main Divide” e “Clear Night, Port Hills” sono liquidi inni panteisti permeati da un sound ancestrale pieno di sfumature che rende i contorni delle cose sfuggenti e vaghi.

Roy ci prende per mano con il delicato arpeggio di “Rainshadow Near Christchurch” che cerca di farsi largo attraverso una fitta coltre di nebbia e ci lascia poi in balia delle folate avvolgenti della breve “Downtown to Vesuvio”.

Il viaggio prosegue con la splendida “Twilight Conversation” : un ipnotico salmo religioso di 10 minuti dove, su una cadenza catacombale, Roy dipinge arabeschi chitarristici che sembrano essere il linguaggio segreto delle pietre, degli alberi e di tutti quegli elementi naturali che cercano di comunicare da millenni con la razza umana.

Escape Velocity” è il pezzo “filosofico” del lotto: così come il nostro pensiero e le nostre idee su un concetto qualsiasi non sono quasi mai totalmente lucide e cristalline, ma vengono puntualmente distorte o “sporcate” dalla farisaica quotidianità o da nostre altre elucubrazioni mentali che inavvertitamente sopraggiungono, quì il lineare giro di chitarra viene continuamente disturbato e deformato da contrappunti che paiono essere sinapsi incessanti e incontrollate.

Nel disco Montgomery spazia poi tra il breve blues di “The Barracuda Sequence” e il simil-folk di “Rain Receding” per arrivare alla fragorosità e graniticità delle bardopondiane “The Road to Diamond Harbour” e “Winding it Out in the High Country”.

La fine del viaggio arriva con “Nor’ Wester Head-on/The Last Kakapo Dreams of Flying” : un intimo e malinconico affresco dove pare spirare un soffio di profonda gratitudine di Roy verso le isole del sud che sfuma e scompare in bolle di sapone.

Disco personale e vario, “Scenes From the South Island” non raggiunge nel complesso le vette di altri lavori di Roy (sia come solista, sia con collaborazioni), ma ha un appeal atavico e segreto che ad ogni ascolto cattura e fa scoprire cose sempre nuove.

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