Che figo doveva essere, fare il pirata! Scorrazzate sui mari, bevute alle taverne più luride del Sud America, viaggi sul proprio galeone con uno sguardo di fierezza verso le onde sognando i più ricchi tesori, arrembaggi verso i galeoni nemici a suon di spade e cannonate! Altro che starsene seduti in noioso salotti a discutere degli eventi politici e mondani del momento, con tanto di parrucche alte 2 metri e comportamenti pomposi! Un mestiere un tantinello pericoloso, ma emozionante.

Dopo quasi tre secoli dopo, pare che nessuno rimase a tener alto l’interesse verso i pirati. Ma ecco che sul finire degli anni 80’, un gruppetto di quattro scalmanati, guidati da Rolf Kasparek, conosciuto da tutti come Rock ‘N Rolf, formano i Running Wild, gruppo che dopo due ottimi album di Speed/Heavy Metal suonato quasi come se fossero gli allievi degli Accept, si spostano su rotte sconosciute al tempo, con un passaggio in stile piratesco, sia in musica, che in testi, che aspetto. Ho detto “sconosciute al tempo”, proprio perché fino al 1988 (anno di pubblicazione di “Under Jolly Roger”), nessun gruppo aveva mai osato parlare di pirateria, al tempo erano gettonati più temi anticonformisti o satanici, temi che avevano presto piega soprattutto agli inizi degli eighties. Gruppo che seppe sfruttare a dovere questo particolare, e che li rese assieme ad altri pochi gruppi Heavy, a resistere agli anni 90’ senza affondare nello scioglimento o in album mediocri, come accadde ad altri gruppi che, raggiunta la fama negli anni 80’, videro nel decennio successivo la “catastrofe”, dettata soprattutto dal movimento grunge e molti altri generi che velocemente prendevano piede.

Nel 1988, i Running Wild se ne escono con uno dei loro migliori lavori, a parer mio, della loro discografia, “Port Royal”. Niente cambio di sonorità, niente sembra cambiare dopo il precedente lavoro “Under Jolly Roger”, anche se c'è da segnalare un eccellente lavoro di basso e batteria, che fanno risultare questo album come uno dei più riusciti del combo tedesco negli anni 90'. Dopo la breve e divertente "Intro" abbiamo subito davanti la titletrack,che fin dall'inizio ci mostra il riff portante di quella che sarà la canzone, tanto trascinante quanto semplice nel suo andare, ma stiamo attenti a non confondere la semplicità con la mediocrità, questo pezzo è un piccolo gioiello di HM dall'inizio alla fine! Con "Raging Fire" sembra di avere un pezzo AOR, tanto esaltante da urlare in mezzo ad uno stadio, quanto ben studiato nei più piccoli particolari. "Into The Arena" è uno dei pezzi in cui risaltadi più la perfetta batteria di cui parlavo prima, le chitarre sembrano quasi passare in secondo piano, da quanto è possente la batteria. Inoltre, questo pezzo contiene uno dei pre-chorus più belli dell'album a mio parere. Con "Uaschitschun" si comincia a rallentare, e dopo una breve intro di chitarra, il pezzo prende il via con toni sì più leggeri ma il riff delle chitarre sembra non perdere l'aggressività dei pezzi precedenti. Da far notare il bellissimo testo, dove si narra delle barbarie compiute dall'uomo bianco verso gli indiani. "Final Gates" è una bellissima strumentale, dove il basso esprime tutto sè stesso, dettanto insieme alla batteria dei mid-tempi seguiti subito da cavalcate in pieno stile "Running Wild". Impossibile non apprezzarla. "Conquistadores" inizia dopo una gradevole intro di basso, esplode in tutta la sua potenza, con un grande riff dalla sua ed una batteria che dire eccelsa è dire poco, ed un ritornello veramente orecchiabile, sicuramente una delle canzoni più riuscite del disco. "Blown To Kingdom Come" è un mid-tempo come solo i tedeschi sanno fare, tanto pesante in fatto di chitarre, ma ben strutturato fino ad esplodere nel bellissimo ritornello. Probabilmente al primo ascolto non vi convincerà, ma è un grandissimo pezzo. "Warchild", sebbene sia una delle canzoni più veloci dell'album ed abbia un lavoro di basso quasi ottimo, non mi ha mai convinto appieno, visto che mi ha sempre ricordato quella "Raw Ride" presente in "Under Jolly Roger". Diciamo che passa tranquillamente senza lasciare il segno. "Mutiny" è senza ombra di dubbio invece, una delle hit del disco, con un meraviglioso lavoro di basso, e delle pause ben studiate che ci portano al ritornello, che rimarrà nella testa dell'ascoltatore per molto tempo, trascinante com'è. Spetta a "Calico Jack" chiudere questo album, e vi riesce senza problema. Dopo una breve intro di chitarra, il pezzo esplode con riff sparati a mille, ed una batteria inarrestabile, che ci conducono ad un ritornello che dire veloce è dire poco, ma dai tedeschi che cosa ci si più aspettare di più? Il pezzo quindi, uno dei più lunghi dell'album, quasi 6 minuti, risulta essere una scelta adeguata per porre la parola fine a "Port Royal".

Ovviamente gran parte del merito di questo album, va ovviamente a Rock 'N Rolf, che con la sua voce grezza ma efficace, dona a "Port Royal" un sapore di antico, ma non di già sentito, perchè la musica dei Running Wildè anche questa. Una scoperta che, passo dopo passo, risulta essere sempre più sconvolgente. Per tutti gli amanti dell'Heavy metal classico, album di questo calibro sono vita, per altri che invece si vogliono avvicinare a questo tipo di musica, state certi che non ne rimarrete delusi.

Yo-ho!

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