Fra gli album incisi negli anni ’80, Hold Your Fire (’87) è quello che maggiormente esaspera i pregi ed i difetti della musica incisa all’ epoca dai Rush: avverto dunque i “detrattori” del periodo (ma si possono realmente disprezzare i Rush?) di astenersi dal suo ascolto, se non hanno mai sentito l’album, mentre invito chi non conosca il gruppo, gli amanti del trio o, semplicemente, i… curiosi a procurarsi quest’ottimo lavoro, forse inferiore ai predecessori ma comunque meritevole di attenzione, come ogni incisione del terzetto di Toronto.

Come noto, l’album chiude idealmente la terza fase evolutiva del gruppo (Signals - Grace Under Pressure - Power Windows e, appunto, Hold Your Fire), in cui Lee, Lifeson e Peart hanno virato il prog rock delle origini in uno stile maggiormente sorvegliato e raffinato - più “adulto” - senza tuttavia perdere gli originari pregi della loro musica, ovvero il feeling, l’abilità esecutiva, la capacità di creare melodie immarcescibili su testi di una profondità rara per il rock da intrattenimento. Diciamo subito che Hold Your Fire è il primo album dei Rush, a distanza di tredici anni dal loro esordio discografico (!) a presentare alcune tracce poste a mero riempitivo del lavoro, seppur alternate a delle vere e proprie gemme che si collocano di diritto nell’empireo della loro produzione.

Partiamo dai capolavori: fra esse va annoverata l’introduttiva "Force Ten", aperta da un martello pneumatico, su cui si innestano in eccellente coesione i sintetizzatori di Geddy Lee e la chitarra di Lifeson: il pezzo, pop oriented, presenta un ritornello davvero eccellente, sia nel testo che nella musica, portando l’ ascoltatore a canticchiare profonde riflessioni filosofiche. Discorso analogo vale per la seguente "Time Stand Still", in cui la voce di Lee si fa pacata, dimenticando gli acuti di gioventù, in un tecno pop d’avanguardia se paragonato ad altre incisioni dell’epoca, giovandosi della splendida voce di Aimee Mann a mo’ di contrappunto. Declamatoria e drammatica è invece "Mission", sebbene il tessuto sonoro non sia forse all’altezza dei pezzi precedenti, benchè al servizio della voce di Lee, forse il vero protagonista dell’album, che relega a comprimari "Lifeson" e "Peart". Eccezionale, invece, "Turn the Page"; introdotta da una chitarra particolarmente incalzante, la canzone si sviluppa fino ai due picchi rappresentati dai sonanti accordi del sintetizzatore, ai quali fa seguito la progressiva accelerazione del ritornello; la musica, che sembra ripercorrere la scorrere di un fiume fino ad una cascata, si intarsia perfettamente con il testo, che invita a “girare pagina” e descrive lo scorrere del tempo come un corso d’acqua che corre dal passato al futuro. Da notare la finezza degli effetti sonori nella parte finale del pezzo, in cui la voce di Lee viene missata in maniera tale da confondere e “randomizzare” il testo, confondendo i piani temporali della canzone stessa. "Tai Shan" è invece, uno splendido pezzo dai toni maggiormente mediatati, quasi una "Mystic Rhythm part II": mentre quest’ ultimo pezzo, contenuto in Power Windows, si riallacciava alla tradizione africana innestando tocchi di world music sul tipico sound Rush, "Tai Shan" si riallaccia all’Oriente, esplorato da Peart nei suoi viaggi e nelle sue peregrinazioni intellettuali, ben sorretto dai synth.
Gli altri pezzi, che descrivo più brevemente, appaiono meno in linea con la qualità del songwritin’ dei Rush e sembrano quasi degli scarti degli album precedenti. "Open Secrets", "Prime Mover" e "High Water" non risultano, a mio vedere, particolarmente brillanti, trattandosi di pezzi privi di picchi sotto ogni punto di vista, mentre 2Second Nature2, pur sorretta da un ottimo ritornello, nulla aggiunge a quanto già sentito negli album precedenti o nei pezzi migliori dello stesso album. "Lock and Key" è un buon pezzo d’atmosfera, ma anche su tale versante i Rush sembrano aver dato il loro meglio negli anni precedenti.

Il voto finale, fatta la media fra il meglio ed il peggio dell’incisione, si attesta sul 3/5, sebbene i pezzi migliori, singolarmente considerati siano tutti da 5/5. Da notare, in ogni caso, l’interno dell’ edizione cd, in cui una splendida fotografia di un giocoliere che “stringe il suo fuoco” reca impliciti riferimenti a tutte le precedenti copertine degli album del gruppo: giusto per gradire, l’orologio alle spalle del giocoliere segna le 9. 12 e la foto è scattata di sera… 21. 12 quindi, e la memoria non che tornare a quello splendido 1976… anche se, nelle parole di Peart, “every day we're standing in a time capsule, racing down a river from the past; every day we're standing in a wind tunnel facing down the future coming fast” .

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