Adoro i Led Zeppelin. Il gemito primordiale di Plant, la pirotecnica grancassa di Bohnam, la disciplina di Jones, la genialità di Page. Venerante mi genufletto d'innanzi alle acrobazie strumentali degli Yes. La voce da Peter-Pan del rock di Anderson, i controtempi di Bruford prima e White poi (non mi sono più ripreso da "Sound Chaser"...), la furia strumentale di Squire, il tocco progressive di Howe, l'estro schizoide di Wakeman.
Ebbene, se tutto cio fosse brillantemente sintetizzato in 3 musicisti, di cosa parleremmo? Di tritolo allo stato puro, ovviamente. I Rush. Uno dei gruppi più snobbati da critica e grande pubblico eppure uno dei più influenti e scopiazzati. Ma veniamo all'album.

Comincio col precisare che, dal mio punto di vista, "Moving Pictures " non è IL capolavoro dei Rush, come leggo in giro. Trovo "2112" più epocale, elettrizzante ed incisivo, decisamente insuperabile. Quello che davvero mi piace di quest'album è l'equilibrio con cui vengono combinati gli stilemi dell'hard-rock con quelli del progressive. Infatti tale "contaminatio", proverbialmente assai problematica (il polimorfismo tipico del progressive mal si concilia con la sostanziale immobilità della base armonica blues sulla quale tipicamente si poggia l'hard-rock), proprio qui trova la sua realizzazione migliore possibile.

"Tom Sawyer" apre le danze ed è una vera e propria dichiarazione d'intenti: il ronzio di un sintetizzatore molto progressive precede l'esplosione del canto molto hard-rock di Lee che sembra fare il verso al Plant di "Black Dog". Il pezzo si snoda poi su un'impalcatura essenzialmente hard-rock, sulla quale si srotola un tappeto di tastiere strepitose che conferiscono al pezzo un tocco di esotismo orientale alla "Kashmir", per intenderci.
Rispetto alla opening-tack, "Red Barchetta", con il suo incedere cavalcante, accentua i toni epici oltre a  caratterizzarsi per il connubio perfetto di testo e musica. Sembra davvero di essere al volante della celebre "Barchetta Rossa" a fianco del protagonista, a scaricare sul pedale dell'acceleratore tutta la nostra voglia di estate e di libertà. La colonna sonora ideale dei viaggi di Sal e Dean nel mitico "Sulla Strada" di Kerouac, così come di ogni viaggio verso la libertà e la vita. Magistrale come al solito Peart, poderoso nei colpi ed incredibilmente vario nella ritmica.
La strumentale "YyZ" conferma le incredibili doti tecnico-compositive della band ed è probabilmente la summa del "Rush-pensiero": i riff hard-rock si sposano alla perfezione con la matrice progressive, espressa soprattutto dall'uso sapiente e mai esorbitante delle tastiere orientaleggianti suonate da Lee. Si prosegue con "Limelight", semplicemente magica nella sua orecchiabilità e linearità. Splendidi il break centrale, impreziosito da uno straordinario assolo di Lifeson, e la chiusura maestosa stile Genesis, con la rullata di Peart a far da padrona. Merita attenzione lo splendido testo confezionato come di consueto dal batterista, una riflessione non banale sul successo e sull'alienazione ad esso collegata.
"The Camera Eye", con i suoi 11 minuti, si presenta come il brano più lungo e impegativo. Il synth di Lee cucisce una splendida intro, alla quale si sovrappongono in un crescendo continuo di pathos prima la batteria estremamente fantasiosa di Peart e quindi i miagolii dell'elettrica di Lifeson.Il pezzo prosegue poi alternando fasi più trascinanti con cambi di tempo ripetuti a momenti di quiete, come  nella migliore tradizione progressive.
Le ultime 2 tracce non aggiungono molto al valore complessivo dell'album, per quanto non lesinino buone idee, mi riferisco in particolar modo a "Witch Hunt", basata sulle magie di Peart ai tamburi e su una splendida progressione melodica, enfatizzata da un synth etereo. Gioiellino.

Signore e signori questo è "Moving Pictures". Ascoltetelo, molte band metal (o prog-metal che si voglia...) vi sembreranno un pelino meno straordinarie.

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