Abbandonati i distorti "luoghi comuni" di Rock'n'Roll e le struggenti e bellissime atmosfere invernali di "Love Is Hell", Ryan Adams torna con un doppio album e con un nuovo gruppo (The Cardinals) per proporci la musica a lui più congeniale, quella dell'alternative country, di cui lui stesso n'era stato il profeta con i suoi Whyskeytown.
Ryan è un grandissimo e prolifico songwriter, ma la cosa che sorprende di più è l'alta qualità che riesce a mantenere con le sue composizioni, nonostante i cambi di stili che generalmente è portato per natura ad affrontare. "Cold Roses" è un disco che non ha cadute di tono, che si mantiene teso per tutta la durata delle 18 canzoni (più una bonus track), con una band formidabile per essenzialità ed atmosfera e che asseconda alla perfezione Adams, che in questo disco ha una vocalità più incisiva e bella che mai.

Il disco sprigiona un fascino particolare, dovuto all'amore che Adams nutre per la musica americana degli anni 70 (specialmente quella di Gram Parsons) e alla capacità delle canzoni che riescono ad essere fortemente credibili, sospese in mezzo alla luce e all'oscurità, senza tempo, mentre dipingono scenari di montagne imponenti o soffici e fertili pianure e ancora venti, brezze, dolci illusioni, confusioni e delusioni, sentieri incorniciati da ciliegi in fiore, vicino a campi di fragole di memorie beatlesiane, bellezze inconsuete minacciate da corvi portatori di sventure e paranoie, il giorno, la notte, gli amici, gli amori e ancora rose, rose di tutti i colori, rosse, gialle, bianche, nere, blu...rose secche, rose di plastica, tutti i tipi di rose, ma soprattutto rose di ghiaccio, fredde e tristi.

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