Particolarmente raccapricciante e insieme fascinosa la copertina del primo disco dei Saga del nuovo millennio: l'alieno uomo/insetto, una specie di mascotte del gruppo visto che presenzia per la quinta volta in copertina, è disegnato in primissimo piano, intento ad osservare la più vicina delle città/alveari che torreggiano sopra la bruma di un ignoto pianeta (forse la terra stessa, in un remotissimo e inquietante futuro?), brulicante di suoi simili in volo.

La rinuncia a esperimenti sonori e tentativi di cavalcare le ultime, precarie mode musicali giova più che mai alla formazione, che nobilita l'anno 2001 con uno dei suoi lavori più riusciti e consistenti di sano e solido pomp rock, dinamico e brillante. I suoni non ottimali e la relativa vena compositiva del precedente lavoro "Full Circle", uscito nel 1999, vengono superati di slancio da questa collezione di canzoni dal suono principesco, meno elettronico e più vintage (un plauso al produttore Jim Chricton, bassista del gruppo) e soprattutto dal songwriting ficcante e vario.

C'è persino un super singolo, che in un mondo meno ingiusto avrebbe dovuto solcare qualsiasi classifica pop internazionale e non soltanto fare capolino in quelle canadesi (patria del gruppo), tedesche e svedesi: il gioiellino easy-prog si intitola "Money Talks" ed è dotato di accattivante ritornello, non per caso messo subito all'inizio del brano e generosamente ripetuto nei quattro minuti di performance.   

A parte l'accattivanza di tale episodio, è un po' tutto l'album ad essere farcito di buonissimi ritornelli, a cominciare dall'apertura "God Knows", che si carica con le tipiche ritmiche saltellanti sotto le strofe, uno dei loro marchi di fabbrica, indugia nel ponte arpeggiato e poi si stende liricamente nel refrain a tutto (simil) mellotron, ripieno di accordi bellissimi.

In maniera simile, ma con risultati ancor migliori si sviluppa "Always There". Stavolta è la bella voce di Michael Sadler a tendersi intrigante in un prologo sommesso per poi esplodere nel ritornello meraviglioso, uno di quei momenti mezzi pomposi e mezzi pop che gli estimatori del quintetto (eccone uno) vivono con il nodo alla gola.

"The Runaway" ricicla invece il lato più spettacolare e pirotecnico dei Saga: parte in tromba con tanto di locomotiva sbuffante e con il chitarrone di Ian Chricton che non fa prigionieri. Per oltre cinque minuti succede di tutto, stop&go, unisoni chitarra/synth, furiosi pedali di basso, assoli miagolanti pieni di leva del vibrato, tappetoni risonanti di brass: il classico brano da concerto, meno melodia ma più divertimento e sano esibizionismo, senza esagerare.

"Once in a Lifetime" odora di piena restaurazione, con una melodia che ha l'aroma dei loro primi dischi di fine anni settanta, sostenuta ritmicamente dalla chitarra acustica ma pregna dei magnifici suoni di tastiera che, orgogliosamente, questo gruppo continua a usare, sperimentare, sviluppare: il quintetto è uso a guadagnare il palco con dieci (10) tastiere! Credo siano gli unici, in questi tempi computerizzati, a farlo: sei sono mastro Gilmour, due per Jim Chricton pronto a saltarvi sopra mollando il basso a Sadler e le ultime due per il cantante stesso (uscito qualche anno fa di formazione, purtroppo)... sembra la sala dimostrazioni della Korg, ma sono i Saga, un gruppo che adora i sintetizzatori, che li usa benissimo senza fare musica plastificata, che ha comunque fra le sue fila un chitarrista che è un satanasso e picchia duro verso l'hard rock, alimentando l'ibrido delizioso e peculiare, a mio gusto oltremodo appagante gioioso e divertente, che è la loro forza.

"We'll Meet Again (Chapter 15)" è un'altra tipica Saga-song: parte con gli staccati poderosi dello strumento di Jim Chricton, il quale si sposta poi di lato e cambia in suoni più rotondi per far cantare Sadler, ma ben presto riguadagna il centro dell'attenzione disegnando sinuose scale e  rapidissime triadi di plettrate. Sei minuti che volano.

L'altra canzone "capitolata", "Ashes to Ashes (Chapter 11)" ha invece un'impostazione più eterea e cupa, liberando quasi con rabbia il ritornellone a tutta gola di Michael al di sopra degli avviluppanti tappetoni di tastiere.          

A proposito delle assegnazioni a fantomatici capitoli di queste due canzoni, è doverosa una spiegazione per chi (la maggioranza) non è addentro alle cose Saga: sin dall'inizio di carriera fu progettato un concept trasversale alla loro discografia, sviluppandone otto capitoli in altrettante canzoni nei primi quattro dischi (due ognuno) e riprendendo e ampliando il progetto con tre nuovi chapters nel disco del 1999 ed altri due in questo "House of Cards".

Questa... saga trasversale trova la sua conclusione nel disco successivo a questo, a titolo "Marathon", con tre ultimi brani per un totale di sedici capitoli. Il tema che lega il tutto ha molto a che fare, inevitabilmente, con la science fiction, un ambiente per il quale le sonorità di questa formazione canadese sembrano fatte apposta (a parte e al di là delle copertine). Mi riprometto comunque di essere più dettagliato alla prossima occasione.

 

Elenco tracce e video

01   God Knows (05:30)

02   The Runaway (05:38)

03   Always There (03:53)

04   Ashes to Ashes (Chapter 11) (05:06)

05   Once in a Lifetime (04:22)

06   So Good So Far (05:02)

07   Only Human (04:20)

08   That's How We Like It! (04:53)

09   Watching the Clock (instrumental) (01:37)

10   We'll Meet Again (Chapter 15) (05:59)

11   Money Talks (04:09)

12   House of Cards (04:23)

Carico i commenti...  con calma