Quintetto canadese dalle componenti hard rock, progressive, funky, AOR e occasionalmente pure alternative, in un mix i cui dosaggi sono più volte cambiati nel corso della lunghissima carriera, più che trentennale ed ancora in corso, i Saga partirono nei primi dischi facendosi soprattutto promotori di una peculiare versione di progressive, contaminata e semplificata da ritmiche disco/rock.

Siamo d'altronde nel 1979, Bee Gees, Barry White, Giorgio Moroder, Donna Summer e compagnia da un paio d'anni spopolano e influenzano enormemente tutto e tutti (altro che il punk!) in campo musicale, con una rivoluzione soprattutto ritmica che oggi suona obsoleta ma che al tempo fu epocale. Ecco allora che la metà delle canzoni di questo secondo album di carriera viaggia grosso modo con la cassa in quattro e il charleston a sfarfallare i sedicesimi, saltuariamente pure con un sintetizzatore a rinforzare, se non sostituire del tutto, le linee di basso.

Oltre che nel suono, i Saga vanno in cerca di segni distintivi anche a livello di grafica, torna perciò in copertina la conturbante libellula/uomo presente già nel disco d'esordio dell'anno precedente. Inoltre vi è lo stesso produttore Paul Gross, con il suo gusto per i suoni molto caldi e mediosi; cambia solo l'addetto alle tastiere soliste, passate dalle mani di Peter Rochon a quelle di certo Gregg Chadd, anch'egli una meteora nella storia del gruppo, apparendo solo in quest'opera.

Sono sempre le tastiere a condurre le danze (Chadd è affiancato sovente dal cantante Michael Sadler e sporadicamente dal bassista Jim Chricton), con agili arpeggi e caldi tappeti, mentre gli stacchi di chitarra assicurano dinamica e sorpresa, ancor di più nei break strumentali arrangiati a botte e risposte, unisoni e armonizzazioni fra corde e tasti d'avorio, con virtuosismi di classe e mai esagerati.

Come già capitatomi in occasione del primo album, procedo a segnalare tre delle otto canzoni in scaletta: la più fortunata ed amata del lotto è la quarta traccia "You're Not Alone" assoluto, obbligatorio must nei concerti dal vivo nei quali, alla ripresa del ritornello dopo il break strumentale centrale, Sadler lascia sempre cantare a squarciagola al pubblico la frase del titolo: un vero inno per i Saga-fans questo episodio.

L'iniziale "It's Time", mia preferita, rotola gloriosa ed enfatica nella sua ritmica semi-disco contrapposta ai turgidi suoni brass dei sintetizzatori ed allo scodinzolare dei pianetti elettrici, finchè Ian Chricton non si inventa il primo importante assolo di carriera: una faccenda che comincia con un glissato omicida, una nota di chitarra ripresa a volume assurdo e condotta in portamento molti toni più in la, per poi esplodere in un fraseggio efficace e sempre più incalzante fino alla catarsi finale, in un mare di tastiere.

"Images" è l'episodio di maggior durata, essendo costituito di tre parti: esordisce con un'intro al 100% progressive, un tenue ed evocativo lamento di synth circondato da un romanticissimo arpeggio di pianoforte, per poi evolversi nella parte cantata, nella quale Sadler cerca di addolcire al massimo il suo timbro cantando "di testa", quasi in falsetto. Uno stacco di batteria e parte la coda strumentale finale, risolta con un'epica fanfara di sintetizzatore, a tutto volume su accordi massimamente nostalgici e "spiattate" a tutto andare dell'ottimo Steve Negus. E' il brano più "inglese" della raccolta, pare di sentire i Renaissance, o i Camel.

Invece sono i Saga from Ontario, Canada, una delle mie prime cinque/dieci band preferite.
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