Con il quarto album i Saga danno un forte scossone alla carriera, aiutati dalla casa discografica che li manda a registrare in Inghilterra, mettendoli nelle mani di un produttore rampante e pieno di idee: Rupert Hine.. Costui, a sua volta musicista prima ancora che fonico, individua i punti deboli della pur fascinosa proposta musicale del quintetto canadese, primo fra tutti il canto di Michael Sadler, rudemente invitato dal produttore a "tirare fuori le palle" e a "piantarla di cantare come un corista", mentre intanto si provvede a sottrargli quante più incombenze possibili alle tastiere... "tu non sei uno strumentista che deve anche cantare, tu sei il frontman!". Sadler farà tesoro per sempre delle sollecitazioni di Hine.

Il produttore lascia più che mai libero il gruppo di sbizzarrirsi in quei mirabili intrichi fra chitarra e tastiere, costituenti sia i riff di base che i funambolici break strumentali dei pezzi, riconoscendoli anch'esso come elemento distintivo e punto di forza assoluto della loro proposta. Solo, pone pressoché il veto agli assoli di sintetizzatore, così marcatamente progressive, così ghettizzanti verso un gusto musicale nobile ma di nicchia.

Al talentuosissimo guitar player Ian Chricton viene consigliato di accantonare definitivamente i suoni caldi, legnosi e impastati della Gibson Les Paul, di assoluto pedigree storico ci mancherebbe altro, ma poco adatti allo stile bruciante e intricato del musicista, per rivolgersi a quelli più metallici, definiti e analitici delle sei corde tipo Fender Stratocaster. Su di esse Chricton rivela un superiore adattamento, oltretutto la tastiera consente maggiore agio verso le privilegiate note acute mentre la leva del vibrato, accessorio mancante alle Les Paul, si dimostra indispensabile arricchimento espressivo, vero incremento all'imprevedibilità ed alla spettacolarità così istintivamente sotto le dita del piccolo musicista.

Basso e batteria sintetica infine (la famigerata Simmons, vero must di quegli anni ottanta) si affiancano agli strumenti tradizionali, aggiungendo inevitabilmente un respiro ed un'accessibilità pop all'insieme. Da tutto ciò vengono fuori gli stessi Saga di prima, ma più frizzanti, più potenti, più grintosi, più ruffiani. Il songwriting e le idee strumentali erano già notevoli da subito, adesso riescono a trovare una veste ottimale, ficcante, ben prodotta. Il risultato è che per buona parte dei Saga-fans siamo in presenza del capolavoro di carriera, insuperabile ed insuperato in un ambito di quasi trenta uscite discografiche.

Apre un pezzo della madonna, "On the Loose": il consueto arpeggio veloce del tastierista Jim Gilmour, a far da sequenza sotto le strofe, è più largo e ritmico e brillante che mai. Il basso di Jim Chricton (fratello di Ian) viaggia potente dentro la cassa di Steve Negus e finalmente la spinta ritmica è ottimale: ai Saga non aveva mai difettato la melodia ma adesso è arrivata anche la "pacca". Il buon Sadler prende a cantare con un piglio fino allora mai sentito, specialmente per quanto riguarda una nuova, inedita carica ironica e festosa, in cui le passate tinte rilassate e contemplative spariscono per fare posto all'enfasi, all'adrenalina, in una parola al rock'n'roll. Esaltante pure il break strumentale, con quel gatto di Ian Chricton che riesce a competere in agilità col suo tastierista mentre inanellano trentaduesimi da infarto, avvolgendosi l'uno con l'altro in unisoni e armonizzazioni d'alta scuola prima di dare di nuovo via libera al canto, verso la sfumata finale.

Ma la traccia a suo tempo più fortunata del lavoro, una volta pubblicata come singolo, è la terza "Wind Him Up". Ha una struttura del tutto simile a "On The Loose", però i tonfi della Simmons, preferita nell'occasione alla batteria tradizionale, danno ad essa un'aura più pop e "moderna" (specie per i tempi), capace di attirare una certa quota di frange (anche) discotecare. Sadler fa faville aggredendo il brano con tutta la passione di cui è capace: narrano in proposito le cronache che fu addirittura spedito dal produttore a cantare sul tetto del cottage di campagna che ospitava lo studio di registrazione per... aspirare gioiosità, entusiasmo ed energia dal panorama e dall'aria buona del posto, e togliere così residua timidezza alla sua performance.

I due episodi sopra descritti sono intervallati in scaletta da una ballata di gran classe, a titolo "Time's Up", che vede i sintetici rintocchi della Simmons e i soffusi tappeti delle tastiere contrapposti al sanguigno istrionismo della chitarra solista e all'ironica, gigionesca interpretazione del frontman: un gioiellino.

L'altro episodio in tempo lento si rifà invece al lato più progressivo ed "europeo" dell'ispirazione del gruppo, "No Regrets" può essere considerata quindi meno commerciale e più di nicchia... però è meravigliosa! Gilmour vi esordisce al canto e la sua voce giovanile, ai limiti dell'ingenuo, accorata e fresca pur se tecnicamente poco consistente, è perfetta per stabilire un'aura gentile e sognante, da favola medievale. Stupenda poi la lunga coda finale del pezzo, con il giovane tastierista che mette mano al clarinetto, protagonista insieme al pianoforte dei propri studi formativi d'infanzia. Le fiabesche vibrazioni d'ancia, sottoposte ad una cattedrale di riverberi, circondate dai rintocchi del pianoforte e progressivamente immerse in un oceano di tastiere, sono puro benessere per chi possiede l'enzima del romanticismo e del malinconico: insomma, progressive dolcissimo e di gran classe al 100%, incastonato in un album che cerca di affrancarsene per quanto possibile, ma che non può episodicamente non seguire fino in fondo una tale, felice ispirazione.

Il resto del disco offre momenti efficaci (ad esclusione dello strumentale "Conversations", che è proprio un riempitivo) anche se non così entusiasmanti. Menzione per "Framed", che si sviluppa all'inizio senza infamia e senza lode per gli standard Saga, ma che passa al piano di sopra intanto che si impone un lungo, superbo, agganciante assolo di chitarra, sempre più sinuoso e drammatico e che si vorrebbe non finisse mai.

"Worlds Apart" fa uscire i Saga dall'angolo e li propone come grande promessa internazionale in campo rock,  artefici come sono di uno stile peculiare che tiene i piedi in diverse staffe e può essere quindi approcciato da ascoltatori dai gusti assai diversi: si può arrivare a loro amando il progressive, oppure il pop, ovvero il virtuosismo strumentale, o piuttosto il rock tosto ma melodico... Sapranno fare in effetti (a mio parere) ancor meglio di questo pugno di canzoni, ma purtroppo (o per fortuna nostra?) non riusciranno mai a sfondare su larga scala: questo disco rimane in effetti il più noto e venduto del loro nobile catalogo.    

 

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