La carriera del favoloso chitarrista messicano Carlos Santana, di origine “chicana”, può esser tranquillamente sintetizzata come un cerchio che inizia a fine anni Sessanta, precisamente nel 1969, quando assieme all’organista/cantante/compositore Gregg Rolie, i percussionisti José “Chepito” Areas e Michael “Mike” Carabello, il bassista Dave Brown e l’appena diciassettenne batterista Michael “Mike” Shrieve decide di dare vita all’omonima band destinata da lì a poco a scompaginare in modo pressoché decisivo non solo i destini dell’psichedelia californiana di San Francisco, capeggiata fin da allora da esponenti di grande rilievo come i Grateful Dead di Jerry Garcia, per citare il caso più noto, ma anche quelli dell’ormai nascente Latin Rock di cui di fatto “Baffo Latino” è indiscutibilmente il pioniere.

E tale cerchio, dopo una discografia chilometrica contrassegnata da diversi alti (citiamo, ad esempio, Caravanserai del 1972, ultima grande prova della band al completo, e Amigos del 1976 con in mezzo la conosciutissima Europa) e bassi (le ultime prove discografiche, eccetto forse per Corazón del 2014, in cui la formula dei “duetti” sperimentata con successo in Supernatural del 1999, perde decisamente di mordente e affoga in una brodaglia Pop senza arte né parte), si chiude, strano ma vero, con una reunion quasi al gran completo, promossa dall’ottimo Neal Schon, talentuoso chitarrista ritmico entrato nella band alla tenera età di 15 anni e uno di principali artefici dell’eccellente Santana III del 1971, eccezion fatta per Areas e Brown rimpiazzati, in modo peraltro egregio, da due degli storici “scudieri” di Santana: il bassista Benny Rietveld ed l’eclettico percussionista Karl Perazzo.

Il risultato che ne consegue è dunque quello di album che, finalmente, dopo diversi alti e bassi, riporta l’originale sound santaniano, fatto della vincente mescolanza tra i ritmi afro-cubani (o ancor meglio sudamericani) e la cosiddetta scena del Blues Revival di metà anni Sessanta, al centro della scena con moltissimi riferimenti tanto all’psichedelia delle origini quanto ad alcune composizioni Rock/Blues di Peter Green, prima eccellente fonte d’ispirazione del chitarrista messicano. Ciò è fortemente avvertibile in pezzi come Shake It e Blues Magic/Echizo con quest’ultima che sembra essere il “figlio minore” dell’arcinota Black Magic Woman, ma che, nella realtà, presenta un andamento simile anche a The Super-Natural, altra celebre composizione del chitarrista britannico contenuta ne l’album Hard Road del 1967 quando militava nella band del “padrino del Blues” John Mayall, soprattutto per la magistrale padronanza nell’uso del vibrato. Il classico Blues infarcito i ritmi in sospeso tra il Sudamerica e l’Africa l’abbiamo nell’iniziale Yambu che sembra proprio richiamare l’attenzione sul fatto che la band finalmente è rinata, dopo anni e anni di progetti paralleli e collaborazioni dalle alterne fortune. Anywhere You Want To Go, con un ottimo Rolie alla voce, rappresenta la sintesi perfetta tra il “tappetto ritmico”, garantito da un lato da Carabello e Perazzo e dall’altro da Shrieve e Rietveld, e gli scambi tra assoli di organo e la solita bollente ed ispiratissima chitarra di “Baffo Latino” che non lascia dubbi circa la sua immortale classe, a discapito delle quasi 69 primavere quasi imminenti. Altro eccellente pezzo di bravura è Fillmore East, lungo pezzo strumentale della durata di 7 minuti e 30 secondi circa, probabilmente dedicato all’omonimo celebre auditorium californiano retto dall’allora potentissimo impresario Bill Graham (nonché suo principale mentore, alla stessa stregua del tastiera Rock/Blues Al Kooper), che mette in mostra intricatissime linee melodiche, anche da parte dell’ottimo Neal Schon che si conferma, fin dalla sua prima apparizione in Santana III alla tenera età di 15 anni nel 1971, una spalla solida ed affidabile per “Baffo” stesso.

Love Makes The World Go Round e Freedom In Your Mind portano la firma alla voce dell’ottimo Ronald Isley e, soprattutto quest’ultimo pezzo, mette in luce di nuovo una buonissima sezione ritmica, così come anche in Choo Choo / All Abroad.

L’eco evidente del celebre bluesman inglese Peter Green la si avverte in pezzi come Shake It e Blues Magic / Echizo, dove la solita, brillante chitarra di Baffo Latino si esprime a livelli altissimi.

Caminando presenta passaggi che ricordano da vicini pezzi come On The Road Again dei Canned Heat e Roadhouse Blues dei The Doors e rappresenta un ottimo riempitivo.

Sueños è strutturata in modo alquanto simile a Europa, mentre You And I ricorda abbastanza da vicino alcuni pezzi del primo periodo dei Santana a fine Sessanta.

Come As You Are è di sicuro assai orecchiabili e possiede ritmi che strizzano assai l’occhio al Brasile o ai Caraibi per l’uso sapiente delle congas lungo il corso del brano.

Il commiato di un disco, che tutto sommato rilancia l’immagine di “Rocker Latino” di/dei Santana, viene affidato all’ammaliante Blues di Forgiveness che per 7 minuti abbondanti immerge l’ascoltatore in mondo in sospeso tra il Blues e la cara vecchia Psichedelia californiana , rendendo per questo il pezzo meritevole di almeno più di un ascolto.

Carico i commenti... con calma