Debaserianamente parlando, avevo lasciato l'ottimo Mario Rubalcaba sul palco dell'edizione 2008 del Roadburn insieme ai compagni di avventura Earthless, nell'atto di mostrare al mondo quanto grossi e lucenti fossero i propri attributi di batteraio matto.

Grazie ad un doppio salto spazio-temporale carpiato, me lo ritrovo alle soglie del nuovo millennio, da poco trasferitosi a Chicago e intento a spingere il carretto ritmico di questi Sea of Tombs, terzetto in cui il nostro è accompagnato da Bill Skibble alla chitarra e Jessica Ruffins al basso, entrambi sconosciuti al sottoscritto.

 "S/T", pubblicato nel 2001 per la Gravity Records, è la prima (oltre che unica) pubblicazione della band e, volendo/dovendo essere sinceri, fa cagare fusoliere di aereoplani arrugginite: sei brani-jam strumentali in cui l'heavy blues di scuola Blue Cheer viene stiracchiato, sfilacciato, scarmigliato, smangiucchiato, smerigliato, smagliato, sfrangiato, spezzettato, spezzatinato, spettinato, insomma, tirato per le lunghe fino al totale annichilimento dei testicoli dell'ascoltatore.

Le intenzioni, verosimilmente, erano pure delle migliori: modellare la materia grezza hyperfuzz in qualcosa di stordente, ipnotico e possibilmente trippesco.
Il risultato, però, ricorda certi porno giapponesi.

La protagonista femminile è una bella studentessa delle superiori vestita alla marinara, dall'aria timida, ma piuttosto intrigante. Il protagonista maschile è un preside porcellone e pervertito che però ha un cosino piccolissimo che verrà censurato con al massimo 3-4 pixel. E poi c'è un personaggio secondario (es: compagno di classe super-nerd segretamente innamorato della protagonista), che si ammazza di pugne mentre spia dal buco della serratura.
Tutto sommato ci sarebbe anche qualche spunto per divertirsi, solo che fin dalle prime scene protagonisti e comprimari si mettono a fare delle "cose" che o ti annoiano a morte oppure non capisci del tutto. "Cose" che, soprattutto, vengono ripetute fino allo sfinimento non solo della protagonista femminile, ma anche dello spettatore. Finchè ti passa la poesia e te ne torni mogio mogio alle tue faccende quotidiane senza nemmeno il bisogno di risciacquarti il pacco.

Tanto per capirci, Mariolone stambura e rulleggia tutto il tempo che è piacere, ma senza qualcuno che ci metta un po' di colore pare di sentire il vicino che raddrizza la cancellata a suon di padellate. Il chitarrismo di Skibble è tra le cose peggiori che mi sia capitato di ascoltare da quella volta che mia nonna ci diede troppo dentro col castagnaccio: in pratica è un funambolo delle sei corde con le braccia spezzate, una gamba più corta dell'altra, cieco, muto, sordo e mi sa pure con la moglie mignotta. Noioso e impacciato peggio di un dodicenne al primo reggipetto da slacciare. E la Ruffins?! boh, non pervenuta o giù di lì.

Insomma: un disco che dovrebbe farti decollare e che invece ti zavorra le balle peggio di una partita de ___________ (nazionale a scelta del lettore tra le favoritissime per il titolo) ai mondiali.
Ovviamente consigliatissimo.

 

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