Lo sai bene, o almeno dovresti saperlo: non si sevizia un paperino, MAI. Lo sapevi, eppure l'hai fatto. E per esserti macchiato di questa grave colpa, ti toccherà scendere nell'aldilà, dove tu vivrai nel terrore e conoscerai tutti i colori del buio - già, proprio tutti, ma più d'ogni altro ROSSO, profondo rosso misto al nero di gatti neri a nove code che davanti a te attraverseranno la strada, forse terrorizzati dal verso sinistro di uccelli dalle piume di cristallo, in mezzo a sospiri e a streghe e ai frammenti dello specchio che Alice ruppe, noncurante del tuo passaggio. Inferno e tenebre e paura nella città dei morti viventi, ove tutti sono defunti tranne i morti - fino a che da lontano, nella nebbia, ti apparirà una villa accanto a un cimitero, proprio quella casa dalle finestre che ridono, laggiù, ove tu entrerai sentendo risuonare voci e lamenti dal profondo; e facendoti strada nel buio, arriverai a una grande sala con un lungo tavolo al quale non è seduto nessuno perché nessuno sarà lì ad attendere il tuo arrivo, e proprio davanti al tavolo ti fermerai. Una luce improvvisa sarà pronta a rivelarti il raccapricciante spettacolo che sopra il tavolo si celava: quattro mosche di velluto grigio, sette note in nero e le trenta mani destre recise degli ultimi uomini passati di là (forse ignari avventori...?) che una falce piombata dall'alto tranciò di netto lasciandole ai loro posti, macabri testimoni di un polveroso oscuro inestricabile passato.
Ti siederai ad ogni posto e osserverai le mani, tutte le passerai in rassegna: manine paffute e prosciugate scarnificate manacce di vecchi, mani soavi inanellate di pietre preziose, mani sporche immonde disgustose di assassini. E nel toccare ognuna sentirai una musica, sprofondando in quaranta minuti di incanto/ipnosi totale. Incantesimi di chitarre che parlano di tempi remoti, suoni inconfondibili e familiari ancorché agghiaccianti, rumori in dissolvenza verso nuovi incubi, nuovi approdi sonori in rapidissima impercettibile successione. Flauti sussurranti e violoncelli scordati, cori sepolcrali e orchestre luciferine ad accompagnare un Sabba improvvisato, stanze buie al suono di un Hammond B3, ricami di un dulcimer fra gli androni di un castello profanato, l'ululato di un vento che a forza trascina via persone e cose nella sua corsa. E melodie morriconiane, tastiere simonettiane e bassi pignatelliani, ritmi d'un tratto rallentati, il respiro trattenuto (e il sangue fremarsi) al mormorio di un carillon, tumultuosi risvegli da incroci indistinti di sogno e realtà. E - cosa stupefacente a dirsi, se è vero che questo è l'aldilà - perverso piacere aumentare di mano in mano, di tema di tema, di strumento in strumento a rincorrersi ansanti. Rilassamento, e di nuovo palpitazione. La noia è un ospite che a quel tavolo non si è mai seduto.
Se il piacere (così come il vizio) è una stanza chiusa, di certo Trey Spruance ne possiede la chiave.
Elenco e tracce
Carico i commenti... con calma