Devo ancora capire come è andata che mi sia trovato alla guida di una macchina sabato sera. A Nizza Monferrato, piccola cittadina dell’astigiano rimpinzata di lavoratori che “mica’ntant ui pias fe i gadan” ed attorno un mucchio di Monferrato un po’ troppo barotto, è possibile trovare barberozzo in abbondanza e della migliore qualità, e a me il barberozzo va così bene giù per il gargarozzo. Ottimo motivo per non capitarci mai seduto al posto di guida quando c’è da gozzovigliare. Se non fossi così affezionato alla mia patente, sabato sera mi sarei trovato nel mio brodo: musica live, becchime spaccafegato: hamburger, polpette di fassone e patatine fritte, e fiumi di vinello (scorrevano anche fiumi di birra ma quella la lascio volentieri agli altri) E invece mi è toccato passare la maggior parte del tempo a dire dei “no, io no”, e dei “grazie, no, meglio di no” alle vari proposte di bevute di quelli a cui stavo facendo da tassinaro a costo zero. Vinello poco niente quindi. Però c’era della musica. Suonava gente nei quattro cantoni della città. Subito dopo aver capito da che parte ero girato, sono capitato dalle parti di una banda di ggggggggggggiovani poser che faceva rap di quarta mano con il piglio di chi pensa di somministrare pugni allo stomaco a destra e manca. Poveri. Deve essere un lavoraccio tentar di dar pugni allo stomaco con della muffa. Mi ci sono riempito le orecchie per qualche minuto e poi sono finito sotto il palco principale e li mi sono parcheggiato per tutta la sera.

I primi due gruppi che ci hanno suonato sopra non mi hanno fatto passare la voglia di portare le ossa in branda il prima possibile. Poi sono arrivati a suonare questi Selton come ultimo gruppo e mi hanno aggiustato la serata. Offrivano una ricetta musicale accattivante. Cantato melodico con un forte sentore brasileiro, spesso e volentieri realizzato a due voci, e armonie come se non ci fosse un domani. Sciroppo di ciliegie per i timpani. Se tutto si fosse risolto li, mi sarebbero venute le carie ai denti dopo qualche pezzo. Il merito di aver reso gradevole la proposta musicale e di avermi fatto dimenticare la gola asciutta va allo strano "contrasto" che il cantato creava con la musica votata decisamente al ritmo. Suono del basso bello in evidenza, con linee articolate e divertenti, e batteria concretissima. Risultato, dei bei groove ballabili. Ulteriore ingrediente a rendere più gustosa la formula, le due chitarrine elettriche funkeggianti dei due cantani, che si incasellavano alla grande nel lavoro della sezione ritmica, e, Dio sia ringraziato, senza che chi le suonava sentisse la necessità di virtuosismi (comincio ad averli in odio i virtuosi della chitarra elettrica, più che musicisti mi sembrano ormai degli asfaltatori). Informandomi il giorno dopo ho scoperto che le mie orecchie ci avevano sentito giusto, tutti i membri del gruppo sono mezzi italiani mezzi brasiliani nelle origini, e, da quel che ho capito sentendo una loro intervista, cittadini del mondo nell’anima. Fanno pezzi in italiano, in portoghese e in inglese. Il potpuorri di suoni cui ho detto lo chiamano “tropical rock”. Sentendo qualche loro pezzo sul tubo è però subentrata un po’ di delusione (questo qua, questo qua e questo qua). Nella veste in studio della loro musica il groove è andato un po’ a farsi benedire. Basso si, ma molto in sottofondo, poca batteria, e un gran florilegio di acustiche e voci melodiche. Forse qua rendono più l'idea dell'impressione che hanno fatto a me dal vivo. Comunque meglio la veste live. Certamente da tenere d’occhio. L'indicazione dei generi di rif. è da prendere con le pinze, ma per ora non so far di meglio.

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