Il debutto dei Semisonic è esattamente come me lo aspettavo. Forse, nel 1996, era spiazzante, e forse, tutt'al contrario, quel modo di suonare non poteva non essere naturale ed ovvio. Non ricordo e non so. A distanza di così tanto tempo dico che è esattamente come me lo immaginavo: dopo la (brutta) fine del grunge, la sopravvivenza è data non da chi finge per denaro lo stesso impeto e la stessa sofferenza, ma da chi molto più onestamente si limita a fare qualcosa di meno roboante. E questo qualcosa è tagliarsi i capelli, armarsi di buona volontà, levarsi le lentine che ti irritano gli occhi e rimettere les lunettes, togliersi quelle camicie di flanella che siamo a ferragosto, sfilarsi gli anfibi e i calzettoni di spugna, e soprattutto ritornare ad un approccio di scrittura più classico. Non soltanto al poprock ed al rootrock, ma anche all'altrock di molti dei padri del grunge.

Insomma, questo esordio dei Semisonic, che vuoi o non vuoi sono sempre di Minneapolis, sembra nascere per obbedire ad un chiarissimo imperativo: stemperare. Proprio in questo senso s'incammina la buona parte della tracklist, a cominciare da "F.N.T.", poproot melodico arrangiato secondo i canoni di bellezza rockettara allora in voga, o per "Down In Flames", decisamente più duretta.

Melodia semplice su buoni riffs, oppure chitarroni su roba facile ("If I Run" e "Delicious"): non è indie-punk-pop in stile Weezer, piuttosto grunge-root-pop. Roba così, comunque, quando il rock era il genere musicale del divertimento, sarebbe stata da antologia, ma oggi potrebbe venirti voglia di passare avanti dopo trenta secondi d'ascolto. Per inciso, la più divertente è "Brand New Baby", manco fosse la versione vitaminizzata di una hit dei Supertramp.

Dan Wilson decisamente non osa col sound, ma sa cos'è la melodia. Nella quasi titletrack "Across The Great Divide", tra l'altro, piazza un ritornello che hai già sentito... Oddio, ma sembra proprio la recente "Long Road To Ruin" dei Foo Fighters! Poi ci penso un attimo su, e mi chiedo: quanta roba lo sfortunato Dan Wilson ed il fortunatissimo-miracolato Dave Grohl avranno rubato qua e là all'alt-rock del passato? In fin dei conti così fu per molti, in quella decade, persino tra i più rappresentativi. E qui, in questo suo porsi tra il poprock, il root, l'indie-alt acustico o press'appoco, Dan Wilson sembra un po' il Lou Barlow un po' piacione di certi suoi lavori solisti.

La vicinanza ispirativa all'élite dell'alternative storico rimbomba forte nell'indie diagonale di "The Prize", e tutto sembra ancor più chiaro. In "No-one Else" i Semisonic dànno saggio di gran gusto e di sensibilità chill, e nella conclusiva "I'll Feel For You" sembrano venire dalla Londra sonnolenta del 1977 e di "Animals".

Ci sono pezzi che altro non possono essere che riempitivi, da qualunque punto di vista osserviate-ascoltiate "The Great Divide", ed a seconda del vostro approccio al poprock, vi troverete a scartare i brani più semplici o quelli più duretti, quelli più lenti o quelli di meno facile presa. Detto ciò a me pare che i Semisonic abbiano in questo disco dimostrato di poter fare e di poter essere un po' tutto (tranne che grunge puro) ed abbastanza credibilmente. Come spesso avviene, però, più sono le cose che sai fare e più voli basso, ed in questo esordio mancano i singoloni spaccachart da un lato, ed i brani più "harditi" dall'altro. Mancano, cioè, i due estremi.

La musica rock non pare fatta per i moderati, ma solo per gli estremisti, anche se finti o bugiardi; il rock è buono ovviamente per i paradossi, le contraddizioni, tipo gente che col rock non fa altro che lagnarsi da mattina a sera ma che poi c'ha i megamiliardi e le figone. Il mondo della musica rock, insomma, credo sia l'unico mondo in cui se sei di centro perdi sicuro. E forse proprio per questo mi piace più degli altri mondi.

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