Può essere deludente concedere l'ascolto all'ennesima creatura sonora, sospesa nell'indeterminatezza di certe musiche attuali: elettronica gentile e morbidezze acustiche, atmosfere eteree dalle quali affiorano timide trame melodiche, attraversate da frammentarie sequenze ritmiche e punteggiate da particelle digitali. Senza l'ausilio di una copertina come distinguere un disco dall'altro?

Ebbene, la copertina di "All The Birds Were Anarchists" esplode di verdi verdissimi sui quali il bianco del nome  si staglia abbagliante. E dentro, oltre la rigogliosa coltre vegetale, si incontrano le sagome dei tre musicisti (Barbara Morgestern, Stefan Schneider - uno dei To Rococo Rot - e Paul Wirkus) intenti a creare, sulla base di sessioni improvvisate poi manipolate, gli strati di suoni d'una più impalpabile vegetazione. Ci addentriamo con diffidenza, non per timore d'una natura ostile ma piuttosto immaginando un'assenza di vita, nel paesaggio di tenui battiti e note sottili. Presto però, tra fruscii e vapori digitali tremolanti, nel sommesso crepitìo che accompagna i nostri passi mentre avanziamo seguendo l'anello di note d'un pianoforte, percepiamo l'esistenza di un piccolo mondo astratto ma vivido, ricco di dettagli. A suo modo simile alla natura che si affaccia dalla copertina: vivo, straniante ed accogliente ad un tempo. 

Nell'affollato panorama di produzioni simili, l'ascolto del secondo disco del September Collective, si rivela una delle passeggiate più interessanti compiute quest'anno: capiterà ancora di ripercorrerne i sentieri, forse segretamente desiderando di perdersi....

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