Per quanto mi riguarda, l'Angelo di Fuoco (Ognenny Angel in lingua originale) è un capolavoro di proporzioni cosmiche, e sicuramente tra i massimi vertici del decadentismo operistico novecentesco, al pari di Salome e Pelléas et Mélisande. Così, tanto per iniziare in maniera "soft"... il problema è che qui di soft non c'è proprio nulla e, riguardo all'accostamento con i ben più conosciuti lavori di Strauss e Debussy, si tratta ovviamente di opere tra loro diversissime, che in comune hanno "soltanto" l'iconoclastia di fondo, la sovversione degli stilemi del secolo appena trascorso. C'è poi un curioso parallelismo tra Renata, l'eroina maladetta di quest'opera, in preda alle sue ossessioni mistico-erotiche e lo stesso Sergei Prokofiev, operista (e librettista di sè stesso) coraggioso, innovativo, spesso e volentieri dissacrante ed assai eclettico. L'Angelo di Fuoco è stata la sua ossessione; cominciò a pensarlo e comporlo negli anni '20, unicamente per sua iniziativa, senza alcuna commissione teatrale, e, tra varie traversie, il processo si trascinò per decenni, tanto che, alla fine, Prokofiev morì un anno prima di vederla finalmente rappresentata. A farsi carico dell'onore dell'onore di ospitare la prima (cantata in italiano) fu la Fenice nel 1955, che nello stesso anno tenne a battesimo anche The Turn of the Screw di Britten, altra opera decisamente "intensa" e dai contenuti tutt'altro che accomodanti. Una stagione a dir poco gloriosa per il teatro venziano.

Ma perchè l'Angelo di Fuoco è così speciale? Ci sono tantissimi motivi; il numero uno, anzi, il numero zero è proprio la base su cui si regge tutto l'impianto musicale e drammatico, vale a dire un'orchestrazione estremamente densa, magmatica, che si mantiene costante per tutta l'opera, non solo nei momenti più intensi, tenendo l'ascoltatore costantemente in tensione. Ed è proprio l'orchestrazione a determinare il tipo di voci richieste per una determinata opera; và da sè che per passare l'orchestra in un'opera come l'Angelo di Fuoco servono voci estremamente ben sviluppate, potenti e adatte ad un repertorio drammatico pesante: Renata, la protagonista, è un ruolo significativamente più esteso dell'Elettra straussiana e quasi altrettanto intenso ed esoso vocalmente ed interpretativamente, quindi di difficoltà altissima. E poi, l'immaginario oscuro ed esoterico che caratterizza così profondamente quest'opera è evocato con estrema chiarezza ed efficacia e con uno stile mai lento ed eccessivamente dilatato; al contrario, l'Angelo di Fuoco è serrato, elettrico, con tempi drammatici convenzionali, se così vogliamo chiamarli, e soprattutto eccitante, non esiste un aggettivo migliore per descriverlo nella sua interezza.

Tempi drammatici convenzionali significa anche che la struttura è relativamente segmentata, divisa in cinque atti con scene relativamente brevi, la serratezza drammatica dell'Angelo di Fuoco deriva in parte anche da questa scelta stilistica piuttosto conservativa, ma d'altro canto in tutta l'opera c'è un solo episodio solista sufficientemente prolungato e sviluppato da poter essere definito un'aria a sè stante: si tratta della lunga, allucinata narrazione di Renata nel primo atto, splendida presentazione per questa protagonista schizofrenica, isterica, ossessionata da un angelo che, proprio come i fantasmi nel già citato Turn of the Screw britteniano, altro non è se non una proiezione psichica, un'idealizzazione di abusi subiti nell'infanzia. Il co-protagonista maschile, Ruprecht, seppur molto più "normale", ha un profilo altrettanto notevole: per Renata è disposto a fare qualsiasi cosa, assecondarla nei suoi strampalati rituali magici, perfino uccidere; eppure rimane sempre razionale e distaccato, tant'è che, quando l'amante, in un ultimo e fatale tentativo di redenzione, decide di abbandonarlo e rinchiudersi in un convento, Prokofiev gli fà dire: "Ma i monaci, lupi camuffati da agnelli, hanno poco a che fare con la santità, viziosi e corrotti come sono, nonostante vivano così vicini all'altare."; questa è la mentalità di scrittori come Matthew Lewis, Ann Radcliffe e Charles Robert Maturin, che purtroppo nell'opera non ha mai fatto presa. Alla fine, Ruprecht lo ritroviamo non suicida ma, più prosaicamente, intento ad ubriacarsi in una bettola... in compagnia di Faust e Mefistofele.

Il formidabile, incendiario impatto di quest'opera sta tutto nella perfetta ideazione di "tableau", scene, di enorme impatto sonoro e visivo in cui, di volta in volta, intervengono svariati personaggi minori (ma quasi tutti assai originali e significativi) che affiancano i due protagonisti. Nel primo atto, ad esempio, i caratteristi (la padrona della locanda, il servo e l'indovina), con le loro linee vocali cantilenanti, fatto da contrappeso al tormento e all'oscurità evocate da Renata, trasformando la tragedia in una sorta di intrigante, interessantissima "commedia deviata". La scenetta con Faust e Mefistofele nel quarto atto (notare che Faust è un basso e Mefistofele un tenore, ruoli invertiti rispetto alle celebri opere di Gounod e Boito) spesso erroneamente considerata un siparietto comico, in realtà è un ulteriore, brillante espediente drammatico finalizzato allo stesso scopo, quello di allontanare l'Angelo di Fuoco da qualsivoglia connotazione "moralistica": quest'opera altro non è che una cinica, spassionata satira "mascherata" da dramma lirico.

E poi c'è quel secondo atto sovrumano, il momento della magia e dell'occulto, in cui Prokofiev fà sfoggio di tutta la sua formidabile creatività orchestrale, raggiungendo l'apice nel duetto tra Ruprecht e l'occultista Agrippa Von Nettlesheim, accompagnato da un monumentale, potentissimo tripudio di tube, violoncelli e grancassa; eppure nonostante tutto questo poderosissimo dispiego orchestrale, roba da far arrossire Wagner, ai fini dello sviluppo della trama è una scena del tutto inconcludente, gloriosamente fine a sè stessa, e Agrippa è dipinto come un pusillanime, ambiguo ciarlatano, nonostante sia un ruolo tenorile estremamente declamatorio, quasi urlato, che trasmette un'ingannevole sensazione di autorità e potere. Anche stavolta, quindi, Prokofiev prende magistralmente in giro sia i suoi personaggi che l'ascoltatore. A mandare veramente avanti la trama è solo ed esclusivamente Renata con la sua psiche danneggiata e volubile che, dipanandosi tra i meandri di un raffinatissimo terzo atto, intriso di decadente romanticismo, scivola inesorabilmente verso il gran finale.

E qui ci sta bene un altro confronto con The Turn od The Screw: nell'opera di Britten Miles (l'equivalente di Renata), forzato dall'istitutrice (Ruprecht), riesce infine ad affrontare apertamente i suoi fantasmi, morendo subito dopo, nell'Angelo di Fuoco invece Ruprecht è troppo accomodante, troppo infatuato da Renata per riuscire a spingerla in qualsiasi modo verso una "retta via"; la donna rimane quindi in balia del suo "angelo", e nel convento dove cerca rifugio la sua situazione non fà che peggiorare: il suo "malessere" contagia le monache, portandole inesorabilmente alla follia; l'inquisitore chiamato ad esorcizzarla può ben poco e, impotente ed umiliato, non può fa altro che ricorrere ai soliti metodi: mandare la strega al rogo, più o meno la stessa cosa che Erode fà con Salome nel capolavoro di Strauss, sancendo così un simbolico trionfo per l'antieroina. Questo è l'atto finale, che inizia lento, solenne e ieratico e gradualmente sprofonda in un caos orgiastico e primordiale, con partiture orchestrali sempre più intricate ed isteriche, fino ad una brusca implosione. Un'ultima, geniale costruzione drammatica a coronamento del capolavoro di un genio visionario; tra l'altro, trovo l'Angelo di Fuoco un'opera, nonostante la sua particolarità e complessità, estremamente coinvolgente ed orecchiabile; non è Pelléas et Mélisande, o Parsifal, o anche Simon Boccanegra che, per vari motivi potrebbero risultare ostiche per un ascoltatore non "allenato"; quindi perchè non cominciare con l'opera partendo proprio da qui? Suggerimento ben poco ortodosso, ma direi che ci sta alla grande.

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