Carissimi lettori, se errare è umano, allora gli americanissimi Shadow Gallery non lo sono. La loro lunghissima storia comincia quando negli anni '80 un promettente vocalist dal nome Mike Baker forma assieme a Carl-Cadden James una band progressiva chiamata Sorcerer; dopo lunghi anni nel 1991 il gruppo, dopo aver cambiato (finalmente) il nome in Shadow Gallery pubblicò il debut-album omonimo, una piccola perla di progressive rock/metal, ricco di richiami al passato ed elementi nuovi che contraddistinsero la band e la fecero emergere dalle altre.
La seconda creatura del gruppo, 'Carved In Stone' (disco del quale parleremo nella recensione), vide luce solo dopo ben tre anni dal precedente, periodo nel quale però la band si mise con tutto il cuore a comporre il secondo capolavoro, un album ricco di sfumature progressive, classiche e parti più vicine al metal di derivazione maideniana, il tutto contornato da una massiccia dose di personalità.
L’album viene introdotto da maestose e atmosferiche note di piano, alle quali si lega poi un arpeggio di chitarra classica: siamo di fronte alla splendida Cliffhanger, possente traccia di oltre 8 minuti di durata, durante i quali si alternano parti controllate ed altre più veloci e pesanti. Bellissimi i cori in stile Queen che arricchiscono ulteriormente una track già ben oltre la media generale delle song progressive.
Tutto lo spirito della band si concentra però nella successiva canzone, Crystalline Dream: il titolo riesce da solo a spiegare la bellezza e la passionalità del pezzo, nel quale a strofe pesantemente influenzate dal progressive metal di matrice Dream Theateriana, fa da contraltare un ritornello in puro stile prog anni '70, nel quale tra cori e voce solista di Baker l'ascoltatore resta totalmente senza parole tanta è la bellezza e la delicatezza musicale. Altro punto forte della traccia è sicuramente rappresentato dall'intramezzo strumentale di grande effetto, con un solo melodico e decisamente di gran gusto e classe; a chiudere troviamo un doppio ritornello che chiude la canzone nel migliore dei modi. Si prosegue ancora su livelli comuni a pochissimi gruppi, con l'ottima Don't Ever Cry Just Remember, introdotta da una serie di note pianistiche alle quali si lega la teatrale voce di Baker, che conduce la traccia in maniera magistrale. Ancora una volta da plauso il chorus, solare e di grande effetto, il tutto sostenuto da una base melodica eccellente (nella quale spiccano sicuramente i flauti), ma anche da una base ritmica veramente raffinata ed elegante.
Con Warcry i toni si fanno più decisi e pesanti: la track ricca di sfumature power, si presenta di sicuro più tirata, senza perdere però quella vena progressiva che contraddistingue la produzione della band. Piacevolissima la parte strumentale, nella quale dominano linee chitarristiche e pianistiche, accompagnate da un basso pulsante e da una batteria sempre pronta ad eseguire cambi di tempo senza perdere alcuna battuta. Da applausi la fantastica Celtic Princess, canzone rappresentata da una base pianistica che conduce da sola l'intera traccia, richiamando all'orecchio dell'ascoltatore parti di musica contemporanea sapientemente mescolata con parti vicine alla classica. Eccellente.
Si ritorna a calpestare territori prog/power (con una predominanza di quest’ultimo) con la validissima Deeper Than Life, traccia nella quale troviamo grande ricchezza di parti in doppia cassa, assoli veloci e taglienti e falsetti vocali. Eccezionali i solos di chitarra e tastiera che si inseguono, sostenuti da un gran basso sullo sfondo. La successiva, Alaska, si presenta come un brano assolutamente privo di distorsioni, dove chitarre acustiche, piano e flauti accompagnano, in un’atmosfera assolutamente festosa e leggera, un Baker in splendida forma, che regala agli ascoltatori profonde emozioni grazie ad un’interpretazione veramente sentita e profonda.
Arriviamo così alla lunghissima suite (nonché track conclusiva) da ben 29 minuti: Ghostship, traccia divisa in ben 8 episodi, è uno di quei pezzi che ti fanno veramente capire quanto questa band ci metta il cuore nello scrivere canzoni e testo (per altro veramente da incorniciare); assoli rapidi, parti tranquille e rilassate, ritmica in continua evoluzione, insomma tutto ma proprio tutto in questa lunghissima traccia si fa apprezzare.
Ciò che alla fine ti lascia questo disco è un profondo senso di appagamento personale, una sensazione che veramente pochi artisti al giorno d’oggi sono capaci di darti e dopo aver ascoltato un disco così, cari lettori, se sbagliare è umano allora gli Shadow Gallery non lo sono, assolutamente.
P.S.
le 5 stelle finali, che sono assolutamente d’obbligo, poco riescono a descrivere la totalità di tale album.
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