A calcare il palco del Palaolimpico, pochi giorni dopo che questo è stato deturpato dall'esibizione di Lady Gaga, arriva Isabel Mebarak Ripoll, al secolo Shakira, che sceglie Torino per la sua unica data italiana. Il palazzetto è naturalmente stipato all'inverosimile, dimostrando che concedere una sola data a noi peninsulari è un po' riduttivo. Ma tant'è. L'attesa s'inganna con l'enorme coda e con i musi tristi dei juventini che raggiungono lo stadio lì a pochi metri.

Poi si comincia a fare sul serio. L'ingresso di Shakira, da un tunnel laterale, dimesso ma sottolineato da un simil-abito da sposa fucsia, a dir poco accecante, desta qualche perplessità, ma fortunatamente dopo pochi metri di passeggiata sul molo del palco, attorniato dai fans, il vestito cade e la spina si accende. Inizia così lo show. Perchè solo di show si può parlare: "concerto" è riduttivo nei confronti suoi, oltraggioso nei confronti di chi pone la mera musica al centro della propria performance.

La prima parte di Setlist è un tributo alle proprie origini, quando Isabel era una diva in mezza America ma per lo più sconosciuta da questa parte dell'Oceano: Pienso En Ti, Si te vas, Inevitable, intermezzati da un solo brano - Why wait - dall'ultimo e non eccezionale album Shewolf, che difatti non verrà particolarmente approfondito. Interessante l'esecuzione 'aggressiva' (ovvero con chitarre distorte e stoppate) di Whenever Wherever, la chiave del successo di Shakira in tutto il resto del mondo. Era il 2001, e dopo 10 anni il brano, stravolto da questa interpretazione, acquisisce nuova freschezza.

Pausa. Le luci si abbassano e ritroviamo una Shakira versione zingaresca in cima al ponte, immersa tra il pubblico, attorniata solo da un percussionista, una chitarra e un mandolino. Silenzio. Ecco come l'artista di successo mondiale si fa piccola e crea uno spettacolo nello spettacolo in uno spazio di tre metri per tre, facendo dimenticare improvvisamente il resto del mondo. E sfodera una superba interpretazione, del tutto inaspettata, di... Nothing Else Matters, che per un amante dei Metallica ai tempi d'oro si può immaginare cosa possa rappresentare. La cover viene elegantemente allacciata a Despedida. Un momento di grande suggestione, quasi magico, che ammutolisce il pubblico. Il tributo soft-acoustic non poteva che chiudersi con Gypsy, altro estratto dall'ultimo album.

Tornano le luci, e si riparte con tutti i successi degli ultimi 15 anni: da quelli che fanno impazzire i sudamericani (Ciega, Sordomuda, Sale el sol, Antes de la Seis) ai successi più reggaeton (La Tortura e la cattivissima Gordita), passando per le hit planetarie più recenti (She Wolf, Hips don't Lie).

Ciò che va riconosciuto a quest'artista è di essere poliedrica (attenzione, poliedrica: non trasformista): qualunque genere interpreti, in qualunque panno si cali, sembra sempre perfettamente a proprio agio. Non è una 'reginetta del pop' che prova ruffianamente ad accalappiarsi tutti i palcoscenici possibili: è un'artista che riesce a farlo con una naturalezza spietata e destabilizzante. Shakira pare incarnare contemporaneamente le origini sudamericane (e ci siamo, è per metà colombiana), arabe (e ci siamo, l'altra metà è libanese), latine (e ci siamo ancora, è sempre di madrelingua spagnola e il sangue è muy caliente), e di avere comunque la mentalità 'commerciale' da popstar tipicamente occidentale.

Il secondo momento più suggestivo della performance è l'esecuzione di Ojos Asi, altro brano di oltre 10 anni che gran parte del pubblico (tendenzialmente di giovane / giovanissima età) pare non conoscere: si tratta di un pezzo arabeggiante, annunciato da luci soffuse e da uno straziante intro di un violino - straziante perchè fa vibrare l'anima (a proposito, l'esecutrice è uno degli elementi più eclettici e interessanti della band). Il brano di per sè è travolgente e nei suoi oltre dieci minuti comprende anche un autentico saggio di danza del ventre.

Chiusa questa seconda parentesi, Shakira torna ad accendere e accomodare il pubblico pagando il tributo ai suoi successi più commerciali.
Al 94' si materializza lo spettro di Waka Waka, rimasto ad aleggiare per tutto il concerto: la versione rock lo rende meno intollerabile, e anzi nei suoi cinque minuti di gran finale riporta per qualche momento l'estate, purtroppo senza riportarne anche il calore, perchè al termine della sua esecuzione, i tre gradi sotto zero rimangono tali.

Un plauso a Shakira per uno show che, seppur tutto sommato breve (un'ora e tre quarti), ha pienamente rivelato tutte le qualità di questa acclamata 'reginetta del pop' che in realtà è e resta una cantautrice, e le cui doti musicali vanno ammirate nei suoi brani più intimi prima ancora che nei successi commerciali, che peraltro si apprezzano per essere portatori di una energia contagiosa e, dal vivo, indescrivibile.

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