Quella voce quasi stonata, mezza rovinata dalla nausea e dalla stanchezza di quegli stessi versi che sta cantando: "Never let myself love like that again" continua a ripetere nella traccia d'apertura Crime. Quella chitarra acustica suonata in modo quasi rozzo e approssimativo mi colpisce subito e rende assieme alla voce un effetto suggestivo e dolcemente disperato.

Questo è il primo album che ascolto di Sharon Van Etten, giovane cantautrice del New Jersey, trasferitasi poi a New York per inseguire il suo sogno di esprimere dolore e passione con le 6 corde.

"I woke up I was already me" inizia così la grintosa seconda traccia Peace Sign, ora sostenuta da batteria e basso a ritmo tribale, quasi tra grunge e danza pellerossa, minimale ed incisiva.

Save Yourself è un country arioso e dolceamaro. Poi giunge DsharpG, che come dice il titolo è sorretta soltanto da due note alternate a dei colpi di rullante ricorrenti e il suono atipico di uno strumento a tasti suonato da Van Etten, simile fisarmonica giocattolo spesso presente nei suoi live.

La quinta traccia, piena di diretti riferimenti al tentato suicidio di un amico, parla di quell’instinto di morte che non può essere frenato nemmeno con l’aiuto di una persona amica, o di una voce dolce e suadente come quella di Van Etten. L’inevitabile non si può e non di deve fermare: “You were born to do it, even if I don’t want you to do it.”

Quasi alla fine del mini album, arriva la mia traccia preferita: One Day. Briosa come i girl-pop groups degli anni ’60, con tamburelli sincopati e voci angeliche e accompagnata da un testo personale e iper-realista come Van Etten ci ha abituato durante tutto il corso del disco.

Chiude l’album Love More: “Chained to the wall of our room. Yeah you chained me like a dog in our room. I thought that's how it was. I thought that we were fine”. Solo voce e ancora quello strano strumento accordion. Anche Bon Iver buongustaio ne ha fatto la sua versione e tributo.

Ho deciso di scrivere per questo disco una recensione che analizzi traccia per traccia, dato che trovo personalmente questo lavoro perfetto dall’inizio alla fine, così acerbo e intenso come i primi amori e la rabbia giovanile, come quei primi tentativi (riusciti) di presentare la propria musica al grande pubblico per la prima volta, con tutte le paure e il dolore che ne derivano.

Decido poi di andare appositamente a Copenhagen per il concerto di Sharon Van Etten e lì acquisto lì il vinile di Epic, volontariamente invece di di quello del suo ultimo lavoro. Riesco anche a farmelo autografare.

Una volta a casa apro la confezione del disco e dentro i crediti ci trovo scritto: ‘Dedicated to Fleetwood Mac’. Capisco ancora una volta di aver fatto la scelta giusta.

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