Difficilmente si può rimanere obiettivi quando si parla di una band come gli Shining, e soprattutto è difficile restare oggettivi quando si ha a che fare con un personaggio sopra le righe come Kvarforth, leader indiscusso ed unico musicista indispensabile nelle fila degli svedesi.
Detrattori ed estimatori sono soliti accendersi ad ogni uscita del gruppo, pronti a sfoderare i rispettivi argomenti: per gli uni gli Shining rappresentano il lato più malsano e nero del black metal con le loro liriche deprimenti e con le loro atmosfere claustrofobiche; per gli altri invece gli svedesi sono solamente dei pagliacci alle prese con trovate pubblicitarie di cattivo gusto e di dubbio valore morale. La verità come al solito sta nel mezzo: se è vero che nel ben e nel male Kvarforth è una delle personalità più importanti della scena black metal (aveva solamente 14 anni quando registro come vocalist il primo EP "Submit To Selfdestruct"), è anche vero che non è mai riuscito, nonostante i vari capolavori che ha sfornato ("Whitin Deep Dark Chambers" e "Livets Handallplatz"), a sfoderare con il suo gruppo la prestazione della vita, quella capace di porti nettamente al di sopra di ogni possibile rivale (cosa che è successa a Nortt, Xasthur, Leviathan, Urfaust e Silencer).
Come avrete capito neanche questo "V: Halmstad" è la prova che avrebbe potuto rendere gli Shining degli dei, e non solo un ottimo gruppo come ora sono. Si capisce anche dai discorsi che si sentono nelle chat, nei forum, sulle riviste o semplicemente tra amici: non sono poi molti ad aver chiaro quale sia il migliore degli ultimi tre album degli svedesi, dopo la svolta che ha cambiato il gruppo dal terzo capitolo in poi. Tre dischi nettamente al di sopra della media, "Angst" con il suo spirito thrasheggiante, "IV: The Eerie Cold" con l'alternarsi tra black marcio e momenti acustici, ma nessuno nettamente migliore degli altri.
Questo nuovo capitolo, bisogna dirlo, elimina i vistosi difetti del pur ottimo precedente disco, giungendo ad una più matura consapevolezza nella fusione dell'elemento metallico e di quello acustico. Non mancano gli spunti eterogenei, e le suggestive eresie che compaiono tra i solchi del disco senza però tradire lo stile del gruppo, anzi, aumentandone il fascino, seppur attraverso un allontanamento graduale dal black metal più puro e genuino. Lunghe digressioni pianistiche - pure una lunga ripresa da Bethoven - e momenti in odore di Dark Wave si alternano a parti più sostenute, figlie del riffing sporco dei Carpathian Forest.
Ai massimi livelli anche la prova vocale, decisamente meno invadente del precedente capitolo (anche se a me piaceva molto) e sempre e comunque evocativa; si sente il peso del leader nelle nuove composizioni, più articolate che in passato, ed anche la probabile attenzione verso altre sonorità Depressive da cui prendere qualcosa in prestito (come le parti ambient-orchestrali degli olandesi Urfaust).
Da citare infine la confezione del disco, la cura dei particolari, la registrazione e l'ottima produzione; tutti elementi che sottolineano al meglio l'ulteriore sforzo a livello tecnico profuso dal gruppo durante gli ultimi anni: difficilmente al giorno d'oggi si è i grado di ascoltare band underground suonare ad un livello così alto, per precisione, pulizia ed estro.
Una simile descrizione dai toni trionfali non deve comunque far perdere di vista i pesanti limiti del gruppo. Gli Shining non sono più da tempo i leader del Depressive neanche a livello europeo, visto che l'evoluzione nelle sonorità è stata parallela anche agli italici Forgotten Tomb, ed a mio avviso con risultato decisamente più personali e originali. Se "V: Halmstad" non mostra i difetti del rpecedente capitolo è anche vero che non riesce a bissare l'interpretazione dal punto di vista dell'intensità, senza poi ripetersi nel confronto tra singole canzoni: la scelta di diluire i capitoli in soluzioni più ambientali ha portato a rendere leggermente impersonali certe soluzioni. Sembra che il gruppo, pur sfornando album ineccepibili, stia evolvendosi da anni senza mai giungere ad un punto di equilibrio soddisfacente.
Ma probabilmente sul gruppo, al di là della musica, pesa un'immagine sempre più estrema, e sempre più senza un motivo alle spalle (visto il graduale allontanamento dal black che la band sta attraversando): basterà ricordare che per tenere viva l'attenzione su di sé, non più di un anno fa Kvarfoth si è visto costretto a fingersi suicida, emigrando nelle foreste svedesi per un paio di mesi, prima di ritornare sulle scene con un nuovo album (questo) e un nuovo nome di battaglia (Ghoul).
Depressione del sabato sera...
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