Si sono scritte buone cose su quest'ultima uscita targata Shining: a mio modesto parere ci troviamo al cospetto di un album che, a seconda dei punti di vista, è lecito vedere come un capolavoro ed al contempo come una mezza delusione.

Obiettivamente parlando, "Klagopsalmer" è un'ottima release, una release che sa ammaliare fin dall'insolita copertina dai grigi toni vagamente post-industriali: sulla scia degli ultimi lavori, la band svedese palesa l'intenzione di smarcarsi da un'accezione più propriamente "depressive" all'interno del filone black metal, accezione che i Nostri hanno in passato contribuito a definire. Questo in favore di un allargamento degli orizzonti stilistici ammessi nel melting-pot che la visione artistica dell'istrionico leader Kvarforth è stata disposta ad annettere via via nel proprio orticello malefico.

L'album si muove con consapevolezza e perizia nei territori di un black metal di buona fattura, ben suonato ed arrangiato, che non teme il recupero di una sana attitudine thrash, il flirt con tecnicismi tipici del death-metal più ragionato e la concessione a momenti più "easy" e black'n'roll. Un black metal che al contempo decide di accogliere la sfida di lanciarsi in certe forme di sperimentazione, finendo per sfiorare gli impervi lidi del post-rock e della musica da camera (si pensi alla malinconica coda di pianoforte ed archi del mastodontico brano di chiusura "Total Utfryssning", che dall'alto dei suoi sedici minuti palesa tutta la volontà di contaminazione foraggiata dalla band).

Pure a livello vocale ci troviamo ai cospetti di un Kvarforth sempre più versatile e maturo, disinvolto nel passare in rassegna il suo peculiare screaming (che in più di un frangente richiama il rantolo morboso del mayhemiano Attila Csihar), urla furibonde e vocalizzi straordinariamente puliti che, invero, ricordano l'Akerfeldt dei conterranei Opeth. E proprio con gli stessi Opeth, imprescindibile punto di riferimento per il metal del terzo millennio, riscontriamo delle importanti analogie, in particolare nelle strutture sempre più articolate delle composizioni e nell'integrazione sempre più armoniosa fra parti elettriche e sezioni acustiche, anche se parlare di vere e proprie tentazioni progressive è ancora proibitivo. Assalti thrashettoni, sfuriate black-metal e tenebrosi mid-tempo si danno il cambio mantenendo sempre alta l'attenzione dell'ascoltatore, che al contempo potrà deliziarsi con delle partiture atmosferiche che sempre più prepotentemente si affacciano nel sound degli Shining.

Detto questo, un album come "Klagopsalmer" può lasciare perplessi i fan di vecchia/vecchissima data, quelli che della band hanno amato gli umori più rancidi, malsani e marci, umori che, ahimè, non sembrano trovare più dimora in una musica che preferisce stupire con soluzioni melodiche ben invischiate in un assalto frontale che in verità ricorda da vicino le ultime non raccomandabili uscite di Darkthtone, Satyticon e Carpathian Forest, esempi da non seguire. Beninteso, non parliamo di un album che è proprio la quintessenza dell'allegria, perché sempre si parla di black metal, ma certamente lo scenario è più piacione, uno scenario dove la band sembra puntare a conquistare frange più ampie di pubblico pagante, tanto che è inevitabile provare un po' di rammarico, poiché qualcosa dell'originaria attitudine è andata persa per la strada. Soprattutto se guardiamo allo sforzo di altri colleghi ascrivibili al medesimo movimento, che hanno saputo nel tempo arricchire con intelligenza  e forza d'intenti il proprio sound senza intaccare l'aura di affossante desolazione che caratterizza fin dagli esordi la loro proposta (e si pensi alle band che militano nelle fila della Southern Lord).

Insomma, innanzi a melensi assoli stra-melodici, a partiture finemente elaborate assai lontane dagli umori nichilisti e minimali propri del genere, e percorsi post-rock che, nella loro languida poesia, possono apparire fuori luogo, è lecito nutrire delle perplessità, soprattutto quando la band persevera nell'ostentare un'immagine ed un messaggio oramai troppo eccessivi (e quindi risibili) se raffrontati alla reale portata espressiva della musica proposta.

Oppure possiamo cambiare approccio ed applaudire il genio artistico di Kvarforth che mostra, album dopo album, la volontà e la capacità di evolversi costantemente, anche se infine sembra in difficoltà nel toccare picchi espressivi ed artistici in grado di elevare il proprio status al di fuori dei ranghi del genere: in ogni caso, si deve il rispetto ad un musicista che, pagliacciate a parte, si ritrova alle spalle una discografia che non presenta veri punti deboli, ma anzi mette a segno diversi lavori degni di nota (uno su tutto, l'incredibile capitolo IV "The Eerie Cold").

L'album, in definitiva, rappresenta quanto di buono il metal estremo sia in grado di sfornare ancora oggi; un metal, tuttavia, penalizzato da una visione anacronistica (novantiana, potremmo dire), figlia di un'era pre-Neurosis che non aveva ancora il coraggio di fare il grande balzo in avanti e stravolgere per davvero gli schemi, ma che si limitava a proseguire il suo cammino, arricchendo il proprio bagaglio tecnico ed ammettendo timide contaminazioni, ma senza mai stupire veramente.

Suicidio a base di coca-cola ed aspirina...

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