Ascolta, ascolta, c'è una voce, qualcosa come “un cristallo nel sole”...

Ascolta, ti dico, c'è una chitarra che vaga ma quasi non te ne accorgi.

Tutto si muove, tutto è così fermo. Nessuna enfasi.

Siamo in casa? Questa stanza è ancora la tua stanza? Belle le domande difficili...

Deve essere come la prospettiva che con la sua esattezza da l'impressione del reale. Solo che poi nessuno vede con occhi prospettici.

E allora quella stanza che non è più la tua stanza è davvero una specie di sogno..

Tipo il gorgo ipnotico del suono, una sensazione quasi ultraterrena declinata nel modo più semplice e aggraziato. Non vorrei bestemmiare, ma sembra quasi un anticipo di “Pink Moon”.

Anche se poi, si, aldilà di quel cristallo che non può essere miele, le figurine scolpite non sono certo fantasmi interiori. O meglio, lo sono nella loro qualità di archetipi, che questo è pur sempre il “reame mitico del folk”.

La differenza è che Nick Drake fuori dal tempo ci è andato con le sue sole forze.

E poi certo, c'è sempre quella stanza che non è più la tua stanza. La sensazione che quella voce e quella chitarra siano proprio li con te. Una specie di miracolo, archetipo o non archetipo.

E comunque se un disco ricorda Pink Moon, insomma, dai...

Poi. per quel che riguarda Shirley e Davy diciamo che certe anime finiscono sempre per incontrarsi, non importa se solo per un attimo.

Lei ha l'aria della brava ragazza, lui l'irrequietezza stampata in volto. Diresti che insieme non ci azzeccano niente e invece è uno yin e yang perfetto. Tra l'altro sono entrambi viandanti, entrambi cercatori. Lei di ballate. Lui di suoni.

Ecco allora che la nostra serissima mother folk sposa il blues, il iazz, i suoni del mondo.

E così ritrovi cose che non ti aspetti, non so, ballate tradizionali con profumi d'oriente, strumentali che si concedono di passare per Tangeri, Thelonius Monk rifatto con la chitarra.

Il tutto con la massima economia di mezzi: il cantato semplice (non potrei cantare che così, dice Shirley), il vagare della chitarra quasi sullo sfondo, le spezie e gli aromi musicali dosati con delicatezza. Quasi a dire che non si è più il cantante ma la canzone, non più il musicista ma la musica.

E poi la polvere del tempo, quella specie di sospensione che tiene a mezz'aria i fantasmi. Le schermaglie d'amore, l'idea di destino, il furto d'anima. Uno zoo di vetro proiettato sui muri di quella stanza che non è più la nostra.

Infine, ultimo ma non ultimo, qui nasce il folk inglese di fine sessanta. “Reynardine” è già “Liege and lief”, “Jane jane” certo jazz/folk dei Pentangle, il raga di “Pretty Saro” tutto l'oriente a venire.

E poi c'è “Nottamum Town”, uno dei miei brani del cuore.

“Nella bella città di Nottamum, l'anima non guarda in su, l'anima non guarda in giù”...

Che vuol dire? Son tutti li a chiederselo da centinaia di anni. Tutti tranne me...

Mai risolvere un mistero, non sarebbe più tale..

Trallallà..

Carico i commenti... con calma