Matt Howden mi era già noto da tempo. Parlo del Matt Howden violinista, divino dispensatore di emozioni più volte visto dalle parti dei Sol Invictus.

Solo di recente (e proprio grazie ad una segnalazione di un accorto debaseriano!) mi sono invece deciso ad approfondire l'entità Sieben, il progetto solista dello stesso Howden: entità di cui ho sempre diffidato, nel dubbio e nel timore di ritrovarmi innanzi ad una copia sbiadita dei Sol Invictus di Tony Wakeford.

Quanto mi sbagliavo: la musica dei Sieben è unica e distante da quella dei Sol Invictus. E in essa Howden conferma non solo le sue qualità come violinista, ma anche tutti quei meriti che contraddistinguono ogni artista finalmente maturo e completo: completo da tutti i punti di vista (esecutivo, compositivo, espressivo).

Howden dimostra così di possedere la caratura tipica di quei battitori liberi (come sempre ce ne sono stati e sempre ce ne saranno) che, in tutte le epoche e in ogni campo dell'espressione artistica, si sono ritrovati ad essere relegati al semi-anonimato, apprezzati da pochi, pochissimi, per "colpa" di una proposta assolutamente fuori dal tempo, dai generi e dalle logiche commerciali.

Tanto per mettere le mani avanti, dirò subito che non ci troviamo innanzi ad un album di folk apocalittico, e l'unico richiamo al genere sono i Sol Invictus più maturi (quelli di "In a Garden Green", tanto per intenderci), saltuariamente evocati proprio dal tocco inconfondibile di Howden. Per il resto "Sex and Wildflowers" è un gioiello dai connotati imprecisi ed inafferrabili, un'opera abilmente sospesa fra sonorità folk e rock: un folk ancestrale ed atavico; un rock che non disdegna passaggi ruvidi, soffuse sonorità psichedeliche ed ambientazioni che richiamano direttamente in causa certe band della scena progressiva inglese dei primi anni settanta.

Probabilmente proprio perché il corpus sonoro dei Sieben si compone principalmente di violino, la figura che viene subito in mente, impropriamente o meno, è quella dell'inarrivabile John Cale. Naturalmente un Cale spogliato dalle ossessioni urbane dei Velvet Underground e dalle arditezze sperimentali dei lavori solisti. Si tratta piuttosto del Cale che riscalda con la sua viola la bellissima "Fly" di Nick Drake (in "Bryter Layter"): un Cale della Natura, fiabesco, naturista e panteistico, il cui archetto di fiori e ramoscelli scivola fluido sulla rugiada fresca del mattino.

"Sex and Wildflowers" esce nel 2003 e, come suggerisce il titolo, è un vero inno alla Natura, sensuale, sofferto ed intimo al contempo. In esso primavera ed autunno copulano selvaggiamente: "Sex and Wildflowers" è la contemplazione del miracolo mutevole, effervescente e pulsante della Natura, il formicolare irrequieto di una Natura selvaggia e gentile che si crogiola in un groviglio di energie ed esseri, e che esplode infine nel suo fervido splendore, cullata dalla danza mistica degli elementi.

Al potere evocativo delle melodie di violino, delle tastiere e della voce vellutata di Howden, si oppongono così lo stridere degli archi stessi, l'irruenza delle percussioni, il fragore delle chitarre e del basso: immagini che il talentuoso Howden (che decide di confezionare il suo capolavoro in perfetta solitudine, facendosi carico di tutti gli strumenti!), è in grado di proiettare con leggiadria e raffinatezza nelle pareti della nostra mente.

E se il violino è già di per sé uno strumento dal suono carezzevole e fascinoso (tant'è che anche i violinisti più mediocri riescono, con sol due colpi d'archetto ben assestati, a dispensare egualmente grandi emozioni!), c'è da dire che Matt Howden si conferma un signor violinista: non solo tecnicamente ineccepibile, ma prodigo di fantasia, ispirazione e classe.

Vera classe.

Provate quindi ad unire la magia dello strumento al talento della mano che lo brandisce, ed otterrete "Sex and Wildflowers": undici pezzi sorretti da un violino che come un arbusto in fiore esplode vigoroso in un effluvio di colori, forme e profumi. Note grevi ed acutissime, bassi profondi ed arditi voli nel cielo: è sconcertante la padronanza che il musicista dimostra nel maneggiare il proprio strumento, la capacità di instillarvi sentimenti ed emozioni, e di trarne infine suoni sempre diversi, eppure così intensi e coerenti con la sua visione artistica ed umana.

Le sognanti evoluzioni del violino incantano già dalle prime gelide note di "Spring Snowdrop", in realtà un tiepido raggio di sole di fine marzo chiamato a riscaldarci le membra dopo i fulmini e i tuoni di un burrascoso acquazzone primaverile: note che ci accarezzano la pelle, che come brividi scorrono lungo la spina dorsale inondandoci le braccia e le gambe di intimo tepore, fino alle estremità ultime delle dita, delle mani e dei piedi che sembrano fondersi alla realtà circostante. A destarci dal torpore di una amaca oscillante a mezz'aria, di fianco ad un quieto ruscelletto, è il grattare furioso degli archi di "Forget me Not", spericolato volo nei cieli tersi di un mondo ancora puro ed incontaminato. Momenti contemplativi ed altri più movimentati si susseguono senza tradire la sensazione di trovarsi attraversati da un flusso emozionale continuo e tutt'uno con noi e con la Natura e con l'Anima dell'Universo intero.

"Virgin in the Green" è una suggestiva ballata di violino, basso, ed effettucci ambientali, e ben rappresenta il lato più sofferto ed evocativo della musica dei Sieben: la voce di Howden, espressiva, cristallina e nella sua semplicità sempre coinvolgente nel farsi veicolo di versi poetici e di una fragile e sospesa malinconia, ricorda a tratti il Greg Lake più romantico, richiamandoci alla mente act come Emerson, Lake & Palmer o King Crimson nei loro momenti più distesi ed intensi.

"John in the Pulpit", "Bleeding Heart" e "Winter Snowdrop" fanno senz'altro da contro altare: la prima è un rock ribollente che non sa rinunciare ai graffi ed agli strascichi di una chitarra elettrica chiamata a sporcare le trame infuocate del violino. La seconda, forte del tribalismo baccanale delle percussioni, è senz'altro fra i brani più trascinanti, sicuramente quello che più di tutti si approssima allo spleen sofferto e decadente di una certa dark-wave di metà anni ottanta. La terza, nel suo cupo ed ossessivo incedere di archi, ricostruisce invece le tipiche ambientazioni della reiterazione industriale con soli strumenti acustici (fenomenale!). Da segnalare anche "Loki", altro brano folk che si distingue per un'ispirata chitarra classica, e la conclusiva "Deathlust", in cui sembra aleggiare più che mai il fantasma dei Sol Invictus (merito soprattutto di un poderoso basso distorto suonato alla maniera di Karl Blake).

A questo punto non mi resta che dare un solo consiglio: non cestinate questo album solo perché in un certo qual modo vi pare legato alla scena fottuta del folk apocalittico (che magari non gradite, e con cui, vi assicuro, l'album in questione ha davvero poco a che spartire!). "Sex and Wildflowers", andandosi a riallacciare piuttosto alla più ampia tradizione del rock inglese degli anni sessanta e settanta, può in verità elargire emozioni a chiunque. Sempre che quel chiunque apprezzi la buona musica: quella più sincera e genuina che scaturisce direttamente dal cuore.

Lasciatevi quindi violentare dalla Natura: sprofondate negli abissi infiniti dell'Anima...

Elenco tracce e video

01   Spring Snowdrop (04:48)

02   Forget Me Not (04:46)

03   Love's Trumpet (02:06)

04   Virgin in the Green (05:11)

05   John in the Pulpit (04:42)

06   Knudlustysummer (02:51)

07   Deadly Nightshade (04:46)

08   Bleeding Heart (03:57)

09   Winter Snowdrop (04:05)

10   Love's Promise (06:38)

11   Love's Other Trumpet (01:04)

12   Loki's Lust and Punishment (04:15)

13   Deathlust (04:14)

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