I Silence sono una band slovena (attualmente un duo) nata nei primi anni Novanta e tutt’ora attiva. Il nome, in verità non troppo originale, rende penosa qualsiasi ricerca e, dato il loro limitato (limitatissimo) successo, reperire i loro dischi è davvero un’impresa. Nel 2006 collaborano con i Laibach a “Volk”, disco considerevole ed ambizioso (che mi piacque assai); ciò ne aumenta, seppur di poco, la notorietà e lo stesso anno esce “Key”, un’antologia doppia di cui il primo CD comprende i brani migliori, il secondo le rarità e alcuni inediti.

La musica dei Silence è un’elettronica ricercata, talvolta melliflua, che rifugge come la peste ritmi serrati, percussioni violente e suoni aggressivi. In molte sue apparizioni, il gruppo ha dato vita ad esibizioni acustiche molto piacevoli di cui troviamo qualche traccia in questa raccolta. In generale il suono è delicato, i ritmi sono compassati ma non dilatati all’eccesso, mentre la voce pulita canta storie dalla moralità non proprio cristallina, accompagnata quasi sempre da cori e controcanti altrettanto dolci e carezzevoli. All’uso dell’elettronica, i Silence talvolta affiancano strumenti più tradizionali come il pianoforte, che rendono il suono naturale in un connubio ispirato dal sapore synthpop con derivazioni new wave (il diapason in copertina suggerisce un’attitudine armonica della loro musica).

La prima parte dell’antologia esordisce con “La Troia”, di cui è facile intuire il contenuto, ed a seguire troviamo “The Girl of My Best Friend”; i due brani (tratti da “Ma non Troppo”) già inquadrano perfettamente lo stile dell’intera produzione dei Nostri, facendosi apprezzare per la vena melodica e gli arrangiamenti curati, sicuramente sono tra i brani migliori presenti in “Key”. “Scream Greeneyes” è un pochino più vivace ed impedisce l’assopimento a metà album, mentre l’esibizione live della dolcissima “The Fifth Elephantè poesia pura che commuove. Altro brano da segnalare è “Hall of Mirrors” con la illustre partecipazione di Anne Clark. Il secondo CD, contenente chicche e rarities, è ben prodotto e non dà affatto l’impressione di essere costituito da b-sides. Lo stile ricalca in pieno quello della prima parte, e tra i dieci brani presenti, segnalerei la rabbiosa “Puta Royale”, ma soprattutto trovo particolarmente interessanti tre versioni estremamente diverse dello stesso brano: “Der Untergang” cantata in tedesco è una ballata con pianoforte, “Les Egoistes”, in francese, diventa una marcetta con tanto di fisarmonica alla parigina e “The Last Dance”, in inglese, ricalca le canzonette popolari d’oltreoceano. Bellissime tutte.

Sebbene normalmente io non ami molto le raccolte, questa antologia a mio giudizio è fondamentale per apprezzare un gruppo che alla lunga risulterebbe soporifero (il maggior difetto imputabile al duo) e che, pur mantenendo un buono standard, non ha una vera e punta nella propria discografia o hit da classifica da mettere in bella mostra.

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