Non tutto ciò che luccica è oro. Proprio questo detto popolare mi è venuto in mente dopo aver visto il documentario "27 : gone too soon" , realizzato da Simon Napier-Bell e disponibile sulla piattaforma di Netflix.

Solitamente questa piattaforma dispone di un'ampia offerta di film, serie tv e documentari di buon livello e il titolo prima citato non poteva sfuggirmi, per la semplice ragione che si affronta il tema del club dei musicisti rock deceduti a soli 27 anni. Argomento ben noto a chi, come me, coltiva da tempo l'interesse per il genere rock, unitamente ad altri stili musicali. Ma, in tutta sincerità, quanto visto mi ha lasciato del tutto insoddisfatto.

L'autore della pellicola ( tale Simon Napier-Bell che in precedenza ha operato come produttore musicale) ci propone un filmato di durata limitata a 70 minuti per esporre brevi cenni alle tragiche vite di colossi come Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain, Amy Winehouse. Con una premessa singolare: l'elenco dei musicisti rock e pop morti a 27 anni sarebbe di circa 50 nominativi (il primo sarebbe il noto bluesman Robert Johnson morto nel 1939).

Perché si sia limitato a trattare i 6 musicisti di cui sopra non è ben chiaro; in compenso a suo dire costoro sarebbero morti sostanzialmente per abuso di droghe, alcool e depressione. A ciò si aggiungano i soliti problemi che si possono riscontrare nella fase della crescita in un ambito familiare difficile, con conseguenti influssi sulla personalità dei musicisti in questione. Certo c'è del vero in ciò, ma limitarsi a tratteggiare un quadro simile delle 6 rockstar analizzate è molto riduttivo. Tanto più se si tiene presente che i capitoli dedicati a Jones, Hendrix, Joplin, Morrison, Cobain e Winehouse non superano la barriera dei 10 minuti per ciascuno di loro. Semplicemente assurdo esaurire in così poco tempo il ritratto di tali colossi del rock e dintorni. Tanto per dire, il film che Oliver Stone dedicò ai Doors durava circa due ore e mezza e non forniva un ritratto esaustivo di una personalità complessa come quella di Jim Morrison.

Pertanto, il messaggio veicolato da "27 : gone too soon" è che quelle rockstar morte a 27 anni dovrebbero la loro fama per una morte annunciata dal loro stile di vita discutibile. Ma l'autore del documentario non fornisce il giusto rilievo al grande lascito musicale dei suddetti, maggiormente apprezzabili se si considera la vita caotica condotta negli anni della loro attività in un ambiente in cui era facile consumare sostanze stupefacenti, anche per fronteggiare lo stress.

Oltretutto, non regge l'idea che l'uso di certe sostanze sia letale per tutti, se si tiene presente che molti musicisti ne sono usciti indenni e sono ancora in attività. Solo grande sfortuna che altri rockers non ce l'abbiano fatta. Di loro rimane un ricordo vivido, anche perché quanto da loro inciso è sempre in commercio e il business musicale è più florido che mai.

Sostanzialmente "27 : gone too soon" mi ha dato l'impressione di una pellicola scialba, con sommarie interviste a critici musicali e qualche musicista come Lana Del Rey, Gary Numan che non offrono, però, informazioni inedite e particolari sugli appartenenti al cosiddetto club dei 27 e sulle dinamiche dei fatti che li riguardano. Se si aggiunge poi che il commento musicale del documentario è molto scarno (probabilmente pagare i diritti d'autore di certi brani è troppo oneroso), si ha un quadro desolante di una proposta al di sotto di un livello minimo accettabile, con conseguente disappunto da parte di uno spettatore giustamente esigente.

Film deludente da evitare.

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