Agli albori degli anni Ottanta i Simple Minds bruciano nel fuoco della loro fervente voglia di fare musica, la loro musica, nonostante i seri ostacoli incontrati subito all'inizio della carriera: dopo due album, "Life In A Day" e "Reel To Real Cacophony" di cui non si è accorto praticamente nessuno e che li hanno sommersi di debiti, i ragazzi della band, ventenni o giù di lì, vengono presi da grande sconforto: a nessuno interessava come suonavano e cantavano, i gusti musicali dei teenagers del vecchio continente andavano in massa verso la nuova ondata New Romantic che aveva in gruppi come Duran Duran e Spandau Ballet i suoi paladini dell'ultima ora. Il terzo album, "Empires And Dance", era andato un po' meglio dei due precedenti in termini di vendite, e aveva inoltre ricevuto un'accoglienza incoraggiante da parte della critica, ma la casa discografica, la Arista-Zoom Records, dimostrò di non credere più nella band scozzese, fece poco o nulla per promuovere il disco, e ciò fece scattare la molla del passaggio del gruppo alla Virgin.

Anche qui, però, i ragazzi di Glasgow furono a tutta prima guardati con una certa diffidenza e perplessità. Avevano pronto molto materiale nuovo, ce n'era per due LP, ma la nuova casa discografica, allorché i SM annunciarono di essere pronti a entrare in sala d'incisione, stanziò per la realizzazione della loro opera prima con l'etichetta Virgin una somma di denaro misuratissima. Alla fine prevalse il desiderio di sacrificare il meno possibile del materiale già pronto, e di tentare l'impresa disperata di fare due dischi con i soldi che non sarebbero bastati forse nemmeno per uno. E si narra a questo proposito che il produttore Steve Hillage fu ricoverato in ospedale per palpitazioni cardiache, quando si rese conto che, solamente in fase di mixaggio dei 15 brani del nuovo doppio album, il budget predisposto per la realizzazione del disco era stato già ampiamente sforato. Fu così che negli ultimi mesi del 1981 si decise di mandare nei negozi di dischi i due vinili, "Sons And Fascination" e "Sister Feelings Call" incelofanati insieme, tra l'altro in edizione limitata, ma questa volta le vendite partirono subito bene: in poche settimane il doppio LP andò esaurito, ne venne fatta una ristampa e i due dischi vennero venduti separatamente. Il cd rimasterizzato uscito tra il 2002 e il 2003 li ha nuovamente riuniti, quindi oggi si può legittimamente parlare di "Sons And Fascination" e "Sister Feelings Call" come di un'opera unica.

"Sister Feelings Call" comincia con un brano strumentale: "Theme For Great Cities". Il pezzo, opera di Michael Mc Neil, molto ritmato, è ancora una volta costruito su una linea di tastiere-basso-percussioni, mentre quello che dovrebbe essere il "chorus" è affidato all'intervento del synth. Nel titolo si coglie la reminiscenza di un tema abbastanza frequentato dai SM in quegli anni: la musica per gli spazi metropolitani; ricordiamo che già "I Travel" di "Empires And Dance", uscito l'anno prima, conteneva un diretto riferimento a "Music For Airports" (1978) di Brian Eno. Musicalmente siamo di fronte a uno dei migliori brani strumentali della band, non solo, ma di tutto il decennio Ottanta tout court, tanto che questo pezzo è stato utilizzato da intere generazioni di deejay in svariate basi campionate. Per quanto riguarda i pezzi strumentali dei Minds, va detto che questo gruppo ha sempre avuto un debole per il genere in questione: ci delizierà ancora con "Somebody Up There Likes You" in "New Gold Dream" e "Shake Off The Ghosts" in "Sparkle In The Rain", mentre, andando a ritroso, meritano sicuramente una menzione per la loro raffinatezza stilistica due piccole composizioni: "Film Theme", in "Reel To Real Cacophony", e "Kant Kino", che dura appena un minuto e cinquanta secondi e si trova in "Empires And Dance".

Il secondo brano, "The American", fa parte del nucleo originario di pezzi scritti per il nuovo album, ed è disseminato di riferimenti a luoghi visitati da Jim Kerr e compagni durante i tour che la band cominciava ad effettuare in quegli anni negli Stati Uniti. Il ritmo si mantiene su livelli sostenuti, si segnalano la bella intro e, soprattutto, il pregevolissimo assolo di chitarra di Charlie Burchill nel finale, in assoluto un pezzo di bravura e uno dei suoi migliori interventi solisti dell'intera discografia dei SM. Il terzo brano, "20th Century Promised Land", è uno di quelli che ha fatto parlare della dimensione "epica" della musica dei SM. Si veda l'incipit (Stories came like the wind / Joining every bridge in the wind / Ringing out footsteps / Calling out steel-heels / I give voice / I give breath / Count out evenings and stars). Soprattutto i primi due versi rendono la misura della volontà dell'autore del testo, alias Jim Kerr, di comunicare un'esperienza epocale e generazionale che si avverte ovunque, come il vento, e unisce tutti noi, ponti solitari. Notevole, in questo brano, il fraseggio intrattenuto tra basso e tastiere, mentre l'interpretazione vocale di Kerr si mantiene sempre su alti livelli.

Il brano successivo, "Wonderful In Young Life", è interessante soprattutto per il testo, verrebbe voglia di dire "programmatico", che comunque tocca molte delle tematiche più "vere" per i SM di questo periodo. Ne cito qui soltanto alcune: la gioventù, del resto già nel titolo stesso, il sogno, il viaggio. Già i primi versi spiegano molto di un modo di intendere l'esistenza che Jim Kerr e Charlie Burchill avevano fatto proprio quando, adolescenti, abbandonarono gli studi per girare l'Europa in autostop: Splendido in Gioventù / Due settimane in un'altra città / Mandare brividi lungo la schiena / Dei tuoi amici quando ti chiamano (Wonderful In Young Life /Two weeks in another town / Sending shivers along in the spine /Of your friends when they call).

A seguire, un brano che potremmo definire semistrumentale, visto che l'intervento vocale di Jim Kerr è ridotto alla ripetizione del titolo "League Of Nations", tra l'altro con una intonazione davvero cavernosa. Si tratta di una sorta di danza tribale introdotta dalle percussioni su cui si inserisce una sempre uguale e breve frase armonica prodotta dalle tastiere. L'ultimo brano con parole e musica dell'album, "Careful In Career" fa piombare l'ascoltatore in una dimensione ipnotica, introdotta da un battitto in crescendo nell'intro e dall'ingresso delle tastiere che creano un senso di smarrimento. Probabilmente si vuol comunicare il significato di un'esperienza che volge al termine, l'angoscia di chi vede succedere qualcosa intorno a sé, persone muoversi, e percepisce a fronte di ciò la propria impotenza, con l'immagine della morte che viene evocata come un lamento, e anzi, come una circostanza ineludibile di cui ci si vergogna, pensando agli anni vissuti (It's a shame to go away / It's a shame / To die already).

La chiusura dell'opera è affidata ad un altro brano strumentale, "Sound In 70 Cities", che altro non è se non la base privata del cantato di "70 Cities As Love Brings The Fall", che troviamo in "Sons And Fascination". Si tratta probabilmente dell'episodio più evitabile di tutto questo doppio album, perché, oltre ad essere chiramente un "riempitivo", mette a nudo, privato della parte vocale, ingenuità tecnico-stilistiche nella struttura melodica e negli arrangiamenti.

Il significato di quest'album "due in uno" va colto nel processo di affinamento della ricerca stilistica da parte dei SM, ricerca alla quale ciascuno dei componenti dà un apporto importante, trovando l'esito più teso e compiuto nell'opera successiva, "New Gold Dream". Charlie Burchill, professionista serio e scrupoloso, deriva il proprio stile chitarristico dalla scuola di David Gilmour, da questo album in poi è evidente la sua tecnica di scolpitura del suono per creare atmosfere eclettiche. Michael Mc Neil: tastierista con uno stile personalissimo e tale da renderlo senza paragoni nella scena pop rock di quegli anni, ma anche dei molti a venire, fonde gli afflati folk della tradizione celtica con le molteplici possibilità offerte dai sintetizzatori, che proprio nei primissimi anni Ottanta cominciano ad essere utilizzati massicciamente, talvolta con clamoroso successo commerciale (un nome per tutti: The Human League, che con "Don't You Want Me", brano interamente costruito con tastiere sintetizzate, sbancano le charts europee e statunitensi). Derek Forbes scandisce le sue linee di basso con vigore e precisione e stende il tappeto ritmico sul quale si elevano le costruzioni armoniche di Burchill e Mc Neil. Dell'efficacia del batterista Brian Mc Gee e dei vocals di Jim Kerr, che da quest'album si assestano sulle modulazioni che farà per sempre sue, ho già detto nella recensione a "Sons And Fascination".

Se con questa non sono ancora riuscito a stancarvi, l'altra potete leggerla sempre qui su DeBaser. Alla prossima!

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