Un giro di basso stentato ed esitante, la batteria entra secca e metallica, da lontano si inseriscono le esili pennellate della chitarra elettrica di Charlie Burchill, infine il tutto viene raccolto e strutturato in melodia dalle morbide sonorità delle tastiere di Michael Mc Neil, e il canto di Jim Kerr parte sommesso e riflessivo (For just one moment in time / I hear the holy back beat / Events and casual affairs… ). Inizia così "In Trance As Mission", il brano di apertura di "Sons And Fascination", quarto capitolo della storia dei Simple Minds.

E' il settembre del 1981 quando viene alla luce questo album, che segna per la band di Glasgow importanti cambiamenti: nuova casa discografica, la Virgin, e nuovo produttore, Steve Hillage. Musicalmente, ciò si traduce nell'approdo a toni più vagamente popdance, dopo che nei lavori precedenti i Simple Minds avevano esplorato molte delle tendenze in voga tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta: dal rock glamour e decadente di "Life In A Day", attraverso le sperimentazioni in bilico tra punk rock ed electropop di "Real To Real Cacophony" per arrivare all'elegante ermetismo elettronico di "Empires And Dance". Il primo brano di questo nuovo disco, però, lungi dall'essere un pezzo ballabile, introduce l'ascoltatore in una tranquilla atmosfera di incanto e stupore, il testo accenna a un viaggio compiuto in stato di sogno o meglio di trance. Tematicamente, già da questo brano cominciano quei richiami all'America che sembrano quasi un assillo, del resto sempre appena abbozzato, per i Minds di questo periodo.

Nel secondo brano, "Sweat In Bullet", la sezione ritmica, inserita subito all'inizio del brano, viene messa in pieno risalto, sostenuta e martellante. La voce di Jim Kerr va alla ricerca delle caratteristiche coloriture baritonali che per molto saranno l'inconfondibile firma di ogni brano cantato di questo gruppo, anzi a volte Kerr spingerà le proprie interpretazioni verso persino eccessivi arzigogolii di maniera. Solo nell'ultimo album, "Black&White 050505" (ma si è dovuto aspettare il 2005!), Kerr ha imboccato la strada di un canto più asciutto ed essenziale, rinunciando ai tipici vocalismi trascinati, che pure sono stati un suo marchio di fabbrica sicuramente da "New Gold Dream" in poi.

Anche il terzo brano, "70 Cities As Love Brings The Fall", ha uno sgargiante abito pop, sempre con sezione ritmica in bell'evidenza. L'atmosfera si incupisce nella quarta traccia, "Boys From Brazil": Jim Kerr canta accompagnato dai battiti spasmodici della batteria di Brian McGee e dal contrappunto del basso di Derek Forbes. Tastiere e chitarra elettrica sono qui relegate al ruolo di comprimarie, passano essenziali e stilizzate dietro la tribale muraglia ritmica. Il testo ancora una volta evoca scenari reali, eppure distanti e incorporei: si parla, per esempio, di ragazzi brasiliani che bevono champagne su spiagge deserte.

Ed eccoci a "Love Song", il brano sicuramente centrale dell'album, centrale almeno dal punto di vista dell'impatto sull'ascoltatore e del marketing che gli è stato dedicato (da questo pezzo è stato tratto uno dei primissimi video dei SM). Arrangiamento pomposo, con inserzione del sintetizzatore nell'intro, poderosa sezione ritmica con batteria e percussioni, tastiere anche qui chiamate a sostenere l'intero impianto melodico e anticipatrici di certe movenze che ritroveremo in "New Gold Dream". Il testo nuovamente parla di situazioni astratte dalla realtà. Il titolo farebbe pensare a temi romantici, e invece qui troviamo rettili, tagli di capelli, dita spezzate, qualcuno che racconta bugie. E, di nuovo, come un miraggio, ecco rispuntare l'immagine dell'America ("America is a boyfriend / Untouched by flesh of hand"). Un brano certamente d'effetto, studiato per attirare l'attenzione dell'ascoltatore, forse il primo davvero "commerciale" dei SM. La traccia successiva, "This Earth That You Walk Upon" è definitivamente bella canzone di questo disco. Di nuovo un rallentamento, una nuova immersione in quella quiete con cui è iniziato l'album. L'atmosfera creata dalla lunga nota prodotta dalle tastiere nell'intro e la soffusa sezione percussiva portano di nuovo in un mondo altro, forse orientaleggiante, dove regna l'ordine, il senso della velocità, la vaga angoscia di quesiti in attesa di risposta rivolti a un interlocutore che non non vediamo né sentiamo ("What's your name? / What's  your Nation?"). La Terra su cui camminiamo, protagonista del brano, viene personificata, è colei al tuo passare agita la mano, si gira passando, poi ti volta le spalle e se ne va. Gli interventi vocali ti Kerr sono brevi e raggruppati in tre momenti. Come spesso accade per i brani dei SM ante-New Gold Dream, anche qui manca un vero concetto di strofe e refrain, il quale è spesso sostituito da bridge strumentali. Qui ce ne sono due: uno di rara bellezza ed eleganza eseguito dalla chitarrra di Burchill, e l'altro, di grande potenza evocatrice, fatto con il synt.

La title track è un altro pezzo notevole del disco: torna ancora la forza travolgente della batteria di Brian Mc Gee, il basso molto marcato, e le tastiere che fanno da perfetto contrappunto al canto di Kerr, che qui usa una voce potente come non mai. Degnissima chiusura della quarta opera simplemindsiana è "Seeing Out The Angel", un canto pacato e melanconico, sostenuto dalle splendide tastiere di Mc Neil. Si tratta di una di quelle ballads tipicamente Simple Minds, con spunti che ritroveremo in "Let It All Come Down" e persino in "Dolphins" di "Black&White". "Sons And Fascination" è quindi un'opera da ascoltare e cogliere nella sua interezza, fatta di un continuo alternarsi di primordiale forza e disarmante tenenerezza. Un'opera che, nei suoi notevoli esiti artistici prodotti tramite tecniche a sottrarre, segna un'ulteriore tappa nel fin allora ancora mutevolissimo e quindi affascinante stile dei SM. E ci accorgiamo che siamo a meno di un passo da quello che probabilmente resterà il capolavoro in assoluto di questa grande rock band, "New Gold Dream 81-21-83-84".

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