Se gettate una moneta in un pozzo molto profondo, difficilmente sentirete un rumore distinto. Eppure qualcosa laggiù succede: dell'acqua si muove. La musica di Sophie Zelmani ha quello stesso tipo di suono.  La  sua voce, come una moneta, spinge nel buio impercettibili cerchi che rimangono lì, circoscritti seppur vitali come il bene prezioso su cui si poggiano.

Quando la graziosissima cantautrice svedese cercò di farsi notare era ahimé, il 1996. Qualcuno disse che in altri tempi, un disco come "Sophie Zelmani" (1995) avrebbe gareggiato con altrettanta fortuna a fianco dei più osannati lavori di Tracy Chapman o Tanita Tikaram. Purtroppo allora, in superficie, infuriava la più vigorosa tempesta che la musica potesse conoscere e di acqua ce n'era in abbondanza. Non importava che questa venisse buttata in faccia a secchiate dalle varie Morrissette, Jann Arden, Sheryl Crow e compagnia urlando. Non c'era posto per il timido approccio nordico di Sophie. Quindici anni più tardi torno a pensare che c'è e ci sarà sempre qualcuno che a quel pozzo vorrà attingere: sparuti musicofili dall'animo molto (troppo) sensibile, rispettosissimi conoscitori o ammiratori dell'intricatissimo universo femminile. Insomma, uomini che per un attimo decidono di lasciare il testosterone a guardare la partita per dedicarsi all'ascolto di una delle Voci più accorate ed allo stesso tempo indifese del panorama folk.

A mala pena si spiega il successo di Sophie. La sua musica non ha mai spostato di molto il proprio baricentro: delicate ballate per chitarra. A volte qualche lieve accelerazione. Preferire un'opera ad un'altra non è "musicalmente" rilevante giacché i lavori si equivalgono sia per quanto riguarda la scelta di arrangiamenti che per la produzione. Scelgo "Precious Burden" (1998) perché contiene la title track e "Leaving": due momenti, a mio parere, di altissimo lirismo. È proprio nelle semplici ma profondissime parole, liberate con un filo di voce, che sta il segreto di una longevità artistica di nicchia, altrimenti soffocata da una proposta non originalissima e da una voce tiepidamente virtuosa.

Sophie Zelmani in tutti questi anni ha parlato di sé, rivolgendosi quasi unicamente all'universo maschile, chiamando in causa altre donne solo quando questo poteva abbellire lo scenario delle sue storie. Senza rabbia né volontà di prevaricazione. Una donna che ha amato la sua band ed il suo compagno-produttore Lars Halapi fin da quando era ragazzina e che chiede di essere ascoltata non perché il suo mondo sia migliore di altri ma solo perché convinta che, prima o poi,  l'acqua di un pozzo potrebbe tornare utile per qualcuno.

"so I'm leaving while I'm stronger / I'm leaving because our love is younger"

Carico i commenti... con calma