Sopor Aeternus & The Ensemble of Shadows: “The Inexperienced Spiral Traveller”.
O anche: prove tecniche di isolamento.
Isolamento dagli altri, isolamento da sé, isolamento da tutto.
Da Tutto.
Si sa ben poco di Anna-Varney Cantodea: l'idea che mi son fatto ascoltando la sua musica e leggendo le poche interviste che ha rilasciato nel corso degli anni è quella di una persona con un passato di merda. E un sacco di problemi. Tanti problemi.
Oggi ho invece l'impressione che, benché molto rimanga irrisolto, diversi problemi siano stati lasciati alle spalle; che infine Anna-Varney Cantodea abbia accettato le sue fattezze esteriori come immutabili, che abbia in parte costruito una propria identità sessuale: fuggendo da quell'operazione chirurgica che avrebbe potuto ricondurre artificialmente all'essenza psichica così lontana della realtà, mettendo tuttavia l'artista contro il suo credo di Verità dolorosamente perseguita. Forse starò banalizzando, ma la sensazione è che Anna-Varney Cantodea, sebbene il suo approdo ad un equilibrio mentale sia ancora sulla via della definizione, sia oggi una persona sostanzialmente diversa da quello che possiamo udire nei suoi primi lavori.
Il percorso artistico dell'entità Sopor Aeternus ha attraversato diverse fasi, e, come seguendo uno schema circolare, dal lugubre “dark” rinvenibile nei primi demo, un legame con gli esordi è stato riallacciato tramite il bislacco “electro-goth” che ha preso forma a partire dal dirompente “La Chambre d'Echo”, passando però dall'inconcepibile abisso dei capolavori di mezzo, indescrivibili.
"The Inexperienced Spiral Traveller” costituisce l'anello mancante fra il primo full-lenght “Todeswunsch” e i lavori della maturità, i quali hanno lanciato Sopor Aeternus verso i lidi di una personalissima forma di musica da camera riconducibile a ben pochi altri riferimenti nel più ampio mondo della musica dark. In questa opera il medium musicale conserva i crismi di una sofferta auto-analisi (e come poteva essere altrimenti?), il cui esito però porta con sé le falle di quell'inesperienza che viene direttamente suggerita dal suo titolo: quell'inesperienza presto condannata dall'artista, che non mancherà di ripudiare l'opera definendola come un ibrido, frutto di una visione sfocata del proprio essere.
Non che il successivo approdo alla fase della maturità artistica porti chissà quali Luci e Speranze nell'oscura perlustrazione musicale di Anna-Varney (lo faranno piuttosto gli ultimissimi lavori, più orecchiabili, ma soprattutto portatori di toni maggiormente distesi e di un'accentuata verve auto-ironica). No, la maturità sarà invece il riflesso, non di una acquisita serenità (quanto lungi), bensì di una maggiore consapevolezza ed una definizione più nitida della propria identità, personale ed artistica.
"The Inexperienced Spiral Traveller”, uscito nel 1997, prende spunto dall'album che lo ha preceduto, ma non ne è la logica prosecuzione: “The Inexperienced Spiral Traveller” è un album enigmatico, per metà strumentale, ed in esso si legge tutto il timore di Anna-Varney di mostrarsi al mondo. E' per questo senso di incompiutezza che probabilmente l'album non appare agli occhi del suo artefice come il suo parto migliore. Qui l'artista sembra volersi piuttosto nascondere nelle spire di una musica che va principalmente a costituire un paravento per la sua tormentata e fragile personalità. Comprensibile: ai tempi Anna-Varney era ancora un essere debole, sopraffatto dalla paura e dal delirio, chiamato a raccogliersi nel proprio dolore, nella sua vita appartata, al buio, in un non-luogo lontano dallo sguardo degli altri, lontano persino dalla propria immagine che lo ripugna, in un non-luogo dove l'assoluta negazione dell'auto-erotismo conduce necessariamente all'esoterismo. Una dimensione delimitata dalle pareti della mente, ma al contempo una dimensione grande quanto l'universo intero.
La musica che scaturisce da tali premesse conserva le conturbanti coordinate neo-classiche e gli arzigogolati arrangiamenti barocchi di “Todeswunsch”, ma abbandona quasi in toto le reminiscenze mutuate dall'universo dark-wave che avevano caratterizzato i primi stentati passi del progetto, per adagiarsi sulle claudicanti sonorità della tradizione folcloristica popolare, con influssi marcatamente etnici, a metà strada fra il fango e la peste di un oscuro borgo medioevale e il manto stellato di notti mediorientali, dove dotti scienziati osservano gli astri per trarne i più profondi insegnamenti.
"The Inexperienced Spiral Traveller” finisce così per essere un lavoro ambizioso, i suoni in esso esplorati sono più che mai al di fuori della contemporaneità, del tempo e del mondo conosciuti; le traiettorie tracciate guardano ad un passato lontanissimo, un passato quasi pre-preistorico, il passato di un altro pianeta, un passato che si tinge di universale, tanto i suoni che lo descrivono vanno a scavare nel fondo dell'anima. Il pessimismo cosmico diventa astrale, la terapia si muta in rito misterico, l'alchimista veste i panni del poeta o del fine letterato.
Poiché l'esperienza in seno a Sopor Aeternus è un viaggio inevitabilmente solitario, anche in questa circostanza Anna-Varney si fa carico del grosso del lavoro, lasciandosi comunque aiutare da un ensemble di accompagnatori (il liuto di Costanze Spengler, il violoncello di Matthias Ender, il violino di Una Fallada, la chitarra di Gerrit Fischer) chiamati a dare corpo alle disarticolate evoluzioni sonore della sua creatura, ispirata come consueto dall'”Ensemble of Shadows”: cerchia di Presenze che costituisce la ragion d'essere del progetto stesso (proprio le arie da esse suggerite hanno spinto Anna-Varney, nella sua profonda solitudine, a proiettare fuori dalla sua mente il proprio subbuglio interiore sotto forma di musica).
Ma “The Inexperienced Spiral Traveller” è anche un viaggio estenuante (quindici brani per più di settanta minuti), e il suo difetto principale, oltre a quello di mostrare un carisma “appannato”, debole, atterrito, e quello di non brillare certo per dei suoni all'altezza delle idee, non è altro che la sua prolissità. Ma se questo lavoro merita di presenziare nella vostra collezione, è per il modo in cui si apre e il modo con cui si conclude, come a dimostrare che la classe non è comunque acqua.
Prendiamo l'inizio: l'album si apre all'insegna di droni e tintinnii (i cinque minuti di “niente” di Sylla' Boreal”), e già è in grado di immergere l'ascoltatore in una sensazione di vuoto cosmico che ispira a fermarsi e schiudere il sipario della propria anima. Un “niente” che viene fagocitato dagli archi e dai fiati della visionaria “Question(s) beyond Terms” (altro strumentale), una delle arie che più mi sono ritrovato nella mia vita a canticchiare, una delle “immagini musicali” che più vividamente mi hanno permesso di spalancare le porte della percezione e spingermi lontano, verso mondi fantastici e desolati, mondi ampi, infiniti, colmi di una solitudine eterna.
L'album si dipanerà in un susseguirsi di quadretti animati da un brulicante folclore di bande paesane, funeree processioni e saltimbanchi che suonano le campane a morto, bozzetti via via intermezzati da oscure ballate acustiche, dove la caratteristica voce di Anna-Varney sembra assestarsi su timbriche grevi e sofferte, abbandonando le tonalità stridule che avevano caratterizzato più di un episodio di “Todeswunsch”, ma soprattutto non tentando le scalate teatrali che invece caratterizzeranno il futuro. Da segnalare, fra le altre, la ritmata “To a loyal Friend” (quarta traccia, primo brano cantato), la soffusa “Memalon” (incantata ninna-nanna folk a base di chitarra e flauto) e la rivisitazione di un brano della prima ora, la coinvolgente “Memories are haunted Places” (già nota come “Birth – Fiendish Figuration”).
Ma arriviamo dunque alla fine: ritorna la foschia di oscuri droni ad avvolgerci, un arpeggio di chitarra fluttuante, come sospeso sugli anelli di Saturno, ricama una stentata litania. Sembra di essere sull'astro più lontano dalla nostra galassia. Un rantolo meditabondo ci parla chissà da quali mondi alieni, una voce che potrebbe essere quella di uno spirito errante nella vastità dell'Universo, come quella di un defunto che torna per raccontare la sua tragica storia, o quella di un'anima costretta ad un esilio di sofferenza eterna. E' “May I kiss your Wound?”, vertice assoluto della prima fase artistica di Sopor Aeternus (riproposta poi in versione pianistica in “Songs from the Inverted Womb”), il brano che non a caso aprirà la via agli allucinati scenari di “Dead Lover's Sarabande”, parte prima e seconda. Il brano confluisce armoniosamente nel baccanale finale di “Ein gutige Lacheln auf den Gedichtern der Toten...”, altro crescendo di folk cosmico, festante, apocalittico (anche se poi non è folk apocalittico), che fa il paio con le atmosfere tragiche e maestose con cui il viaggio era iniziato molte ore, forse secoli, millenni prima.
Che dire in conclusione: non è certo un brutto album questo “The Inexperienced Spiral Traveller”, ed io personalmente vi rimango molto legato, dato che è stato il lavoro che mi ha fatto conoscere l'entità Sopor Aeternus per farmene innamorare per sempre: anche questo, come tutti gli altri lavori (dico TUTTI, comprese le prime rozze registrazioni) DEVE essere ascoltato da chi apprezza questa entità sofferente che ha saputo trasformare il suo disagio esistenziale in qualcosa di meravigliosamente unico nel più ampio panorama della musica oscura (e non).
Buon viaggio.
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