Sale sul palco un ometto allampanato, circondato da un silenzio che probabilmente non è di venerazione ma di indifferenza. Si avvicina al microfono, con gli occhi in mano. "Buonasera, la prima canzone che faremo per voi questa sera si chiama Mary Ann".

Per gli Spacemen 3 il concetto di live consiste nel prendere quattro sgabelli, metterli sul palco e sedervici sopra eseguendo ripetutamente una progressione armonica di tre accordi, guardandosi le scarpe (parolina magica...). Una seduta collettiva di mesmerizzazione. D'altra parte, ciò può risultare più noioso di un soggiorno a Viserba assieme a Giuliano Ferrara per chi non la pensa come Sonic Boom, secondo il quale il massimo effetto ottenibile nella musica è dato dall'avere il minor numero possibile di strumenti che producono il suono. Questo diventa così più diretto, addirittura denso e consistente. È questo ciò che gli omini dello spazio si pongono come obiettivo principale, un grande trip globale coadiuvato a dovere da qualunque tipo di droga esistente, dalla cannabis alla metanfetamina - just fiiiiiiiiive seconds - dalla coca all'eroina, tanto loro le hanno provate tutte. Un po' come il loro pubblico. Sinceramente mi inquieta non poco durante un concerto vedere il tipo di fianco a me fluttuare nell'aria con i suoi rami annichiliti totalmente scoordinati flettendo la schiena ad angolature degne di un danzatore di limbo, peraltro fuori tempo, ma a quanto pare è proprio ciò che i nostri vogliono vedere davanti a sé mentre rumoreggiano. E credo proprio che ci siano riusciti, con questo concerto dell'ormai lontano (sigh) 1988, in Olanda (ma guarda un po'...) alla storico Melkweg, un punto di non ritorno, credo, per gli esigui spettatori che probabilmente al termine dei 13 minuti della conclusiva "Suicide", un omaggio al gruppo omonimo, avranno a) assunto sostanze illecite in quantità degne di un panda o b) fatto la fine di Anna Karenina. Poche parole si possono spendere riguardo l'esibizione che non sfocino nelle solite frasette condite a dovere dagli aggettivi "lisergico", "ipnotico" e simili, quindi eviterò qualsiasi intervento del genere.

Sapete tutti cosa aspettarvi da quest'album (we'll put some love deep in our veins), ed è proprio quello che ci troverete, né più ne meno. C'è l'energia ossessiva di "Sound Of Confusion", la psichedelia di "The Perfect Prescription", nell'aria odore dell'etereo volo di "Playing With Fire". Anche le due cover suonate (Roller Coaster dei vecchi 13th Floor Elevators, con cui hanno non pochi punti in comune, e Starship del folle Sun Ra) subiscono un intervento anestetico che le rende piuttosto irriconoscibili.

Prendere droga per fare musica per prendere droga per fare musica per creare 62 minuti e 14 secondi di viaggio interstellare.
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