A quattro anni dal precedente album gli Spock's Beard escono finalmente con un nuovo album, intitolato "X" in riferimento al fatto che si tratta del decimo album in studio.

A mio modo di vedere mi sembrerebbe che sia passato un po' inosservato rispetto ad altre uscite. Pertanto mi sembrava opportuno recensirlo.

Nei precedenti tre album (o diciamo anche i primi tre album senza Neal Morse) Nick D'Virgilio, diventato timoniere della band, aveva portato la band ad allontanarsi dalle strutture classiche del prog, dalle quali Neal Morse non voleva proprio schiodarsi (cosa che ha continuato a non fare nella sua produzione solista), per semplificare il proprio sound; con Feel Euphoria si virava verso lidi più duri, con influenze hard rock e metal e sperimentazioni elettroniche più moderne; Octane invece voleva mostrare il lato più intimista ed anche orecchiabile della band previlegiando ballate e brani decisamente più easy listening; l'omonimo Spock's Beard aveva qualche momento più sul prog classico ma continuava a proporre soluzioni alternative decisamente nuove per la band.

Ma con questo album Nick e soci decidono invece di fare un passo indietro e sentono l'esigenza di tornare ad un prog-rock più classico. Infatti il lavoro si presenta meno sperimentale dei precedenti e più complesso. I brani tornano ad essere prevalentemente lunghi e articolati in più sezioni nonché a offrire una grande varietà di melodie all'interno di essi. Ma parlare di un ritorno al Morse sound sembrerebbe un po' eccessivo perché le melodie proposte rimangono sempre quelle più modernizzate di Nick D'Virgilio; in ogni caso l'intenzione di riconquistare un pubblico di fede prog più classica è piuttosto evidente.

Per la prima volta è stata data l'opportunità ai fan di finanziare la produzione dell'album (analogamente a quanto fatto dai Marillion in tempi recenti con ottimi risultati) e direi che ne è valsa davvero la pena. L'album può davvero considerarsi il migliore del dopo Morse. Forse sarebbe stato bello se gli Spock's Beard avessero intrapreso un ulteriore nuovo corso che avrebbe portato le loro sonorità chissà dove, ma dalla qualità dell'album si direbbe che di questo non c'è stato bisogno.

L'intro è subito promettente, "Edge Of The In-Between" parte davvero col botto, con le tastiere di Ryo Okumoto che d'improvviso ci introducono nell'atmosfera dell'album grazie ad un'intro decisamente invadente seguita da strofe melodiche e movimentate che riprenderanno verso la fine; bello l'assolo centrale di chitarra e le melodie orchestrali nella seconda metà ma direi che il brano è ancora poca roba nonostante goda di un buon dinamismo. Segue "The Emperor's Clothes" con una bella intro acustica e caratterizzata da una struttura strofa-ritornello abbastanza orecchiabile con l'originale e alquanto inusuale rappata di Nick D'Virgilio nella strofa e con una sezione strumentale centrale dal sapore decisamente jazzistico che dà al brano anche un tocco di classe. E ora arrivano i piatti forti. Prima la strumentale "Kamikadze", con i passaggi di Synth e organo Hammond in grande spolvero e comunque una prestazione tecnica generale di grande rilievo, poi la suite di oltre 16 minuti "From The Darkness", ben equilibrata nei vari momenti e con una stupenda parte lenta centrale. "The Quiet House" invece è basata su riff di stampo hard rock e caratterizzata da un ritmo incalzante ma è davvero da apprezzare la parte lenta centrale prima che si ritorni a riff più duri.

Un capitolo a parte lo si dedica a "Their Names Escape Me" perché è un brano di ringraziamento ai fans del gruppo che hanno contribuito finanziando la produzione del disco (e preordinando lo stesso). Esso, caratterizzato da suoni ottimamente scelti e atmosfere sempre ben curate, contiene una sezione in cui vengono recitati i nomi di tali contribuenti; il brano è quindi una bonus track riservata all'edizione limitata scaricabile dal sito ufficiale della band; pertanto non è presente nella versione regolare in vendita nei negozi.

Proseguendo nella tracklist troviamo "The Man Behind The Curtain" un pezzo piuttosto immediato, basato su melodie rockeggianti di presa piuttosto facile e da raffinate ma altrettanto orecchiabili parti acustiche; tuttavia la sezione strumentale vuole sviare dall'orecchiabilità del resto del brano e mostrare le abilità tecniche del gruppo (notevole il solo di basso). E si chiude con uno dei capolavori del disco che è ancora una volta un brano di 16 minuti, "Jaws Of Heaven", dove le cose migliori sono i ritmi forsennati e le cavalcate struggenti con passaggi di chitarra e tastiera che risultano rivelarsi fra i più azzeccati del disco anche se i momenti più melodici e orchestrali non sono affatto da meno.

Nel complesso penso che ritengo che la band abbia fatto un ottimo lavoro e che questo album debba rientrare fra le migliori uscite dell'anno 2010. Sempre un gradino sotto i capolavori firmati con Neal Morse ma superiore ai comunque validi lavori precedenti.

Prog rulez!!!

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