I quattro album ad oggi rilasciati sotto il nome Stabbing Westward meritano senza alcuna ombra di dubbio un ascolto.

La band naque dall'incontro del ragazzo gotico in fissa per il post punk Christopher Hall con il tastierista Walter Flakus. I due crearono il moniker come una sorta di ricorrente insulto nei confronti della loro Western Illinois University e della cittadina retrograda di Macomb.

Ebbero la fortuna/sfortuna di essere continuamente accostati ai Nine Inch Nails durante la loro carriera, e non soltanto per lo stile da loro proposto, ma anche per alcuni intrecci tra i due progetti.

Il loro debutto Ungod del 1994 e questo secondo album del 1996, vennero prodotti entrambi dal celebre John Fryer (This Mortal Coil, Cocteau Twins, primi Depeche Mode, primi NIN e tanti tanti altri). Ebbero tra i vari batteristi Chris Vrenna -per un breve periodo- ed Andy Kubiszewski (che figura in The Downward Spiral di Trent nella traccia omonima).

Uno dei motivi per cui reputo questo album il loro migliore è soprattutto la riuscita lineup che si venne a formare.

In pezzi come Shame, il drumming del già citato Kubiszewski fa la sua porca figura. Il singolo venne accompagnato da un videoclip mezzo thriller che ebbe anche un discreto airplay nella MTV di allora.

Le chitarre sono affidate a Mark Eliopulos ed il basso a Jim Sellers. Flakus ci piazza la base subdola, e Christopher Hall? Un'estensione vocale niente male ed un'incazzatura adatta alla tipologia di testi. Potenziale adepto di Ozzy Osbourne anche nell'aspetto, se non erede mancato.

What Do I Have To Do, è il singolo più celebre degli Stabbing Westward; meno heavy ma più possente delle altre, forse più incentrata sul concetto di ballad, ma ricolma dello spleen che le tracce di Wither Blister Burn + Peel emanano.

Gli episodi nel disco Why e Inside You risentono -a mio avviso positivamente- della passione per i Depeche Mode (gli Stabbing aprirono alcune date del loro Exotic Tour in supporto di Songs Of Faith And Devotion).

Come già accennato si tratta di un album figlio degli anni novanta, un concentrato di timori e di relazioni che vanno alla deriva. Un'ossessione trasportata con cura all'inferno nel traghetto dell'Industrial non troppo Industrial (a tratti new wave). Ma una band che non è la brutta copia di nessuno.

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