Un brutto titolo in italiano – titolo originale “Judgment at Nuremberg” –  per uno dei più grandi drammi giudiziari (“courtroom drama”) che il cinema ricordi.

Il tema è il terzo processo di Norimberga (1948), un processo intentato non contro i gerarchi nazisti ma contro quattro giudici tedeschi, rei di aver commesso crimini contro l'umanità durante il Terzo Reich, deliberando sentenze assurde per mandare nei campi di sterminio oppositori del regime, rendendosi a conti fatti, complici del partito nazista.

Il giudice americano Dan Haywood (Spencer Tracy) viene invitato a presiedere la corte penale militare.

È un uomo anziano e saggio il giudice, con una qualità rara: sa e ama ascoltare. E nei momenti di libertà, al di fuori dell'attività giudiziaria, va ad ascoltare alcuni tedeschi, per cercare di capire la realtà della Germania e la mentalità dei suoi abitanti (rei di aver portato Hitler al potere in maniera democratica e di non essersi mai veramente ribellati all’orrore dell’Olocausto).
Un incontro speciale è quello con la signora Bertholt (Marlene Dietrich), una nobile (in tutti i sensi) donna tedesca, vedova di un ufficiale della Wehrmacht, giustiziato dalle forze alleate, la quale suggerisce a Haywood di guardare al futuro e cercando di persuaderlo del fatto che non tutti i tedeschi sono nazisti.

Durante il processo inizia la guerra fredda, con il blocco sovietico su Berlino, a cui gli americani rispondono con un ponte aereo. Questo particolare storico non fa da contorno; sarà essenziale prima della sentenza, quando si dovrà tenere conto del sostegno della Germania agli USA contro l’Unione Sovietica.

Al processo, il giudice Haywood cerca di capire l’incomprensibile e cioè come un giurista rispettato e stimato a livello internazionale come Ernst Janning (Burt Lancaster) possa aver deliberato alcune sentenze che condannarono alcuni innocenti alla morte nei campi di sterminio. Il dibattito con Janning che, all’inizio, si trincera dietro un assoluto silenzio, è difficile; Janning è un maestro dell’autocontrollo. A peggiorare le cose c’è la brillante difesa del giovane avvocato Hanhs Rolfe (Maximilian Schell), che si è offerto di patrocinarlo.

Rolfe è un genio dell’avvocatura e come tutti i grandi avvocati difensori sa spostare bene il discorso su fatti laterali ma comunque importanti e indiscutibili. Le cose non sono sempre bianche o nere. La verità ha tante facce e lo sceneggiatore Abby Mann (Oscar alla migliore sceneggiatura non originale) ha voluto raccontarle tutte, anche quelle che andavano contro l’America.
Il film diventa un vero capolavoro di equilibrio quando Rolfe ricorda alla corte presieduta da un giudice americano: 1) il supporto dalla corte suprema statunitense nell’appoggio a pratiche eugenetiche (caso “Buck contro Bell”); 2) gli accordi commerciali fatti dagli USA con la Germania nazista (il commercio fa dimenticare ogni principio morale: è l’amoralità); 3) le bombe su Hiroshima e Nagasaki che hanno reso gli Americani poco credibili nel dare lezioni di morale al resto del mondo.

Ma non sono solo gli Americani a dover fare il mea-culpa. Altre gravi macchie sono l’accordo Hitler-Vaticano del 1933, il patto Germania – URSS del 1939, e soprattutto le parole di lode di Winston Churchill verso Hitler: “Vorrei sempre avere a che fare con uomini dell’intelligenza di Adolf Hitler”. Di questi argomenti il giudice Haywood terrà conto nella sua sentenza.

Ma nonostante la difesa di Rolfe, verso la fine del dibattimento, Jannings crollerà - sopraffatto dalla toccante deposizione della spaventata Irene Hoffmann (Judy Garland), protagonista del caso di “Lehman Feldenstein”, basato sulla storia vera di un anziano uomo ebreo, processato anni prima per avere avuto una relazione con una donna “ariana” e  per questo condannato a morte (1935).

Indimenticabile la testimonianza del garzone Rudolph Petersen (Montgomery Clift), sterilizzato poiché mentalmente incapace (per la difesa), mentre (per l’accusa) reo solo di avere avuto un padre iscritto al partito comunista.

Punto più alto del film, la sconvolgente proiezione di autentici filmati dei campi di concentramento (filmati dai soldati inglesi e americani dopo la liberazione dei campi di concentramento). Vedere i corpi pelle-ossa e senza vita delle vittime che vengono spostati da alcune gru lascia agghiacciati – anche chi, come noi, è abituato ai film cruenti di oggi. Possiamo solo immaginare l’effetto che queste crude immagini ebbero negli spettatori del 1961, abituati a immagini molto più rassicuranti. Una frase che segue alla visione: “Non fu difficile ucciderli. Costò molta più fatica seppellirli” lascia ancora più interdetti.

Ma siamo ormai alla lettura della sentenza, votata da due giudici su tre. Nessun attore meglio di Spencer Tracy avrebbe potuto recitarla con la sobrietà e la gravità che essa meritava:

“Una nazione non è un territorio, né solamente un agglomerato di persone. Una nazione è nei principi che sostiene, quando sostenere un principio è la cosa più difficile. Se tutti i capi del Terzo Reich fossero stati dei sadici, dei maniaci, allora i loro misfatti non avrebbero più significato morale di un terremoto o di qualsiasi catastrofe naturale, ma questo processo ha dimostrato che, in tempi di crisi nazionale, le persone normali, e perfino quelle capaci ed eccezionali, possono indurre se stessi a condurre dei crimini così grandi e odiosi da sfidare qualsiasi immaginazione”.

I nazisti non erano (tranne in qualche caso) degli assassini patologici. Erano uomini intelligenti ed equilibrati che per il potere misero da parte intelligenza ed equilibrio compiendo le azioni degne di un serial killer psicopatico. E questo rese i loro crimini ancora più esecrabili di quelli di un serial killer.

I quattro giudici incrimini furono peggiori dei gerarchi perché non solo uomini intelligenti ma anche colti e moralmente integerrimi. La loro colpa fu quella di abiurare i loro altissimi principi morali condannando persone che sapevano essere innocenti. Nessuna attenuante per nessuno di loro: ergastolo per un imperdonabile tradimento del loro ruolo super-partes.

Non un film di bocca buona: tre ore di dibattito possono essere stancanti per chi nel cinema cerca anche emozioni visive. Ma per chi è interessato all’argomento, sono tre ore che inchiodano alla sedia e che ci fanno conoscere cose sconosciute – alcune politicamente molto scorrette come la lode di Churchill a Hitler – con delle scene davvero memorabili, alcune rese ancora più solenni dalla musica di Beethoven.

Undici nomination all’Oscar per un cast stellare (Maximilian Schell (Oscar al migliore attore protagonista), Montgomery Clift, Judy Garland, Burt Lancaster, Marlene Dietrich e Spencer Tracy) con tutti i grandi attori citati  che accettarono la paga minima sindacale pur di fare parte di questo indimenticabile documento.

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