Una rapina a mano armata è un congegno a orologeria nel quale occorre che ogni ingranaggio si muova nel modo e nel momento giusto. Il piano per un furto è un meccanismo fatto di ruote dentate, leve ed interruttori che devono girare, alzarsi o abbassarsi, accendersi o spegnersi, solo quando, e solo se, occorre.

Per il suo terzo lungometraggio-marchingegno ('56), il ventisettenne Kubrick affida il ruolo di ingranaggi a cinque miserabili, cinque perdenti che paiono essere stati ripescati dalle seconde file degli stereotipi del genere noir: Johnny, un ex galeotto senza più niente da perdere (interpretato dalla maschera imperturbabile di Sterling Hayden), George, un timido cassiere, debole e mediocre (l'ottimo Elisha Cook Jr.), Mike, un anziano barista (Joe Sawyer), Randy, un poliziotto braccato dagli strozzini (Ted DeCorsia), e Marvin, un vecchio (di cui viene suggerita l'omosessualità) con qualche soldo da parte, solo e col vizio del bicchiere (Jay C. Flippen). Cinque poveracci, privi di quel fascino disilluso che spesso accompagna i protagonisti dei gangster movies, che decidono di fare il colpo della vita: rubare l'incasso dell'ippodromo approfittando di un diversivo durante la settima corsa, la più attesa della stagione.

Non sapremo mai come o quando si siano incastrati gli uni agli altri, né perché siano stati scelti proprio loro come ingranaggi. Ma Kubrick ci accompagna nelle loro case e nelle loro vite, con rapidi carrelli laterali, li pedina uno alla volta, fino a rivelarci quale sia stata la molla che li ha spinti a divenire parte del meccanismo: l'infelicità e l'insoddisfazione, la voglia di dare una svolta alla propria vita. Una molla che trova la propria carica in bisogni ora meschini (la sete di ricchezza di Randy), ora stupidi ed ingenui (l'amore cieco ed ostinato di George per una donna avida che non lo ama e gode ad umiliarlo e mortificarlo), ma anche affettuosi (la speranza, per l'anziano barista, di potersi finalmente permettere le cure per la moglie malata) e romantici (la voglia di riscatto, di fare "il colpo della vita" per il protagonista). E, su tutto, il (bi)sogno di una vita migliore, la speranza di voltare finalmente pagina e di uscire dalla mediocrità che fino ad allora ha caratterizzato le loro vite.

Il meccanismo della rapina si fonda su un equilibrio delicato e calcolato al secondo. Per rappresentarne al meglio il funzionamento occorre esaltarne la sincronicità, il concerto e l'armonia con cui ogni ingranaggio deve ruotare e permettere agli altri di svolgere il proprio compito. La rapina non è una partita a scacchi in cui ciascun pezzo può muoversi autonomamente, ma un complicato gioco ad incastro in cui ogni tassello deve farsi trovare al suo posto, al momento giusto. Ecco perché Kubrick decide di sottomettere ai suoi scopi il tempo e l'intreccio. Non tanto come, solo un paio d'anni prima, aveva fatto l'Imperatore Kurosawa nel capolavoro "Rashomon" ('54), mediante cioè la riproposizione della stessa vicenda attraverso gli occhi di ciascun personaggio, ma giocando a shangai con la linearità della tipica trama del gangster movie, spezzando l'unitarietà della vicenda in tanti pezzi quanti sono i suoi protagonisti.

In "The Killing" i fatti ci vengono mostrati una e una sola volta (con l'unica eccezione della scena della rissa..), ma con continui "salti temporali", ripartenze narrative e alternarsi di flashback e flashforward, con cui possiamo seguire le gesta di tutti i partecipante alla rapina, anche qualora vengano compiute in contemporanea (o comunque nello stesso momento della giornata), ma in luoghi diversi. Come in un raffinato gioco di "stop-fast rewind-play", il tempo reale in cui i fatti si svolgono (peraltro scandito puntualmente dalla voce fuori campo), viene continuamente interrotto, riavvolto e fatto ripartire. Viene così svelato in tutta la sua ingegnosità il funzionamento del meccanismo-rapina, lo spettatore viene reso partecipe di ogni segreto, di ogni trucco e di ogni punto debole del piano, coinvolto nello stesso gioco di imprevisti, timori ed ansie, aspettative e macchinazioni di cui sono vittime i singoli protagonisti della vicenda.

Come detto, il piano, in sé, è pressoché perfetto. Il congegno è stato progettato nel migliore dei modi ed ogni ingranaggio ha funzionato bene. Eppure..

Eppure c'è qualcosa che sfugge ad ogni pianificazione, qualcosa che pare non potersi incastrare a forza nelle nostre previsioni. Forse è solo il destino, di fronte al quale non ha alcun senso tentare di scappare, quella proverbiale "ironia della sorte", il fato che ama indossare le fogge più strane solo per farsi beffe di noi e dei nostri sogni: una valigia che non si chiude, un cagnolino dispettoso, il vorticare delle pale di un aereo..

O, forse, è soltanto la debolezza e la meschinità dell'animo umano, l'imprevedibilità dei gesti e delle azioni di chi ha sempre desiderato di vedersi emancipato dalla propria esistenza triste e mediocre, e ora si sente ad un passo dalla felicità. È il tradimento, è l'ingenuità e l'ingordigia. Tutti i personaggi di "The Killing" mostrano, chi più chi meno, i propri difetti, le proprie debolezze: per qualcuno un bicchiere di troppo che lo fa contravvenire agli ordini del capo, per qualcun altro la propria inettitudine di uomo e marito. Per qualcuno è l'essere un poliziotto tutt'altro che esemplare, per altri è semplicemente un eccesso di sicurezza, il ripetere gli errori del passato. Difetti e debolezze che nessun piano, per quanto astuto ed escogitato nei minimi particolari, potrà mai davvero prevedere, evitare o sperare di cancellare. Come se quella molla, fatta di voglia di riscatto e desiderio di rivalsa, che aveva riunito la banda, al momento della resa dei conti, si rivelasse essere troppo carica. Talmente carica da distruggere quell'equilibrio sottile su cui si reggeva l'intero meccanismo.

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