Ciao ragazzi, sarebbe interessante - per chi ne avesse il tempo - fare una ricerca sulla percezione del sud America da parte di noi italiani, con tutto il carico di esotismo che porta con sé: se fossi l'ipotetico relatore di una tesi di laurea immaginaria, appiopperei allo studente/studentessa di turno il titolo "Da Paolo Conte a Lola Ponce: ti accorgi che il Sud America sta qua", lanciando poi l'autore/trice del lavoro verso un meritato 110/110 e lode con bacio [perugina] accademico.

Ovviamente, un capitolo a parte della tesi lo vorrei dedicato al cinema, anticipando, con voi e per voi, quello che mi piacerebbe leggere in questo ipotetico scritto circa "Banana Joe" ('82), di Stefano Vanzina in arte Steno, lavoro essenziale nell'economia del mio discorso.

Film senza troppe pretese, ma profondo forse più di quanto non sembri, "Banana Joe" ci narra di un un gigante buono (interpretato da un Bud Spencer in ottima forma) che, in un fantasioso Brasile, lavora come autotrasportatore di banane, principale ricchezza locale, in piena armonia con la popolazione autoctona, che lo adora per la sua generosità e semplicità. Questo piccolo Eden - ancorché povero - viene turbato dall'arrivo di una ghenga che mira a commercializzare in maniera massiva le banane, spezzando i piccoli commerci di Banana Joe e della popolazione locale. Ma Banana non sembra essere d'accordo, cosicché, fra scazzottate ed avventure varie (burocratiche, sentimentali, militari), riuscirà ad impedire l'avvento di questi industriali, capeggiando una piccola ma pacifica rivolta all'insegna dell'equità sociale.

La storia, come accennavo, ricalca il solito cliché di Davide contro Golia, ed è ben sorretta da un soggetto vario, giovandosi, oltre che della tenuta scenica del nostro Bud, della partecipazione di caratteristi di razza (dall'ottimo Gianfranco Barra a Mario Scarpetta ed Enzo Garinei, passando per l'esagitato Giorgio Bracardi). Professionale la regia di Steno e gustosissima la colonna sonora, speziata di salsa e calypso, dei fratelli De Angelis: indimenticabile, in particolare, la canzone dei titoli di testa, vero asse portante dell'intero commento musicale del film.

L'aspetto più interessante del lavoro in commento riguarda, tuttavia, la già accennata percezione del Sud America da parte di Steno e degli autori del film: da un lato essa può apparire bozzettistica - certamente occulta le reali povertà e gli autentici disagi del continente - ma, dall'altro, non appare scevra di un certo tocco poetico, specie dove dipinge la levità degli abitanti del piccolo villaggio, la loro purezza e simpatia; le quali, a mio sommesso avviso, non derivano da una semplicistica (ed un poco razzista) concezione del "buon selvaggio", ma dalla consapevolezza che, in un contesto di autentica povertà e di quotidiano rapporto con la morte, l'Uomo non cessa mai d'essere tale, conservando i propri sentimenti, le proprie aspirazioni e passioni, come pure la propria voglia di indipendenza ed autonomia.

In tal senso, il viaggio di Joe dalla confusione del proprio villaggio verso la città, è, parallelamente, la descrizione del contatto dell'individuo con i poteri che cercano di soggiogarlo, di sopprimere quell'individualismo quasi infantile di cui il Nostro è portatore sano, nella sua innata ingenuità: riottoso alle burocrazie, alla milizia, alla prevaricazione dei potenti, poetico nei rapporti con il gentil sesso, Joe è un umile portatore di umanesimo in un mondo che tende al degrado ed alla corruzione, come pure ultimo baluardo dei "deboli" nei confronti di chi vuol prevaricare. Irreale ed irrealizzabile, direte Voi, ma, nella sua tenerezza di fondo, particolarmente epico.

E' forse per questo che un film come "Banana Joe", alla sua uscita, piacque in egual modo a bambini ed adulti: porta con sé l'iconoclastia, la furia distruttiva, del bambino che non vuol essere costretto in uno spazio conchiuso e non vuol subire gli ordini immotivati di altri; al contempo, ricorda ai papà ed alle mamme di esser stati, in un qualche tempo, liberi come Banana, rammentando rivoluzioni immaginarie, forse mai avviate e probabilmente soppresse da mutui da pagare, o addormentate nella placida routine di un treno da pendolari, mentre magari si sogna di essere alla guida di un camion, giù nel Mato Grosso, trasportando banane verso non si sa dove, protagonisti di un racconto di un Marquez o di un Vargas Llosa, ma anche di un Sergio Bonelli qualsiasi, possibilmente nella parte di Mister No.

Lodevolmente Vostro

 

Il_Paolo

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