Quando in adolescenza la passione per un gruppo, per un autore, per un disco o più genericamente per una musica inizia a consolidarsi a cementificarsi tra cuore e cervello, la speranza è sempre quella di poter condividere emozioni con chi ha generato quella passione. Il concerto è la condivisione, è il momento in cui le parti riescono a porre in atto quel momento di dare e avere, che non si esaurisce con l'ultimo bis, ma che rimane dentro come esperienza di vita vissuta. Alcuni autori si riconoscono molto in questo rapporto a due tra chi sta sul palco e chi sta in platea e riescono ad entrare in sintonia in maniera corporale, tale che ogni applauso, ogni urlo divengano cordone ombelicale di unione fattiva delle due parti, in un tutt'uno di confidenza quasi familiare.
Steve Hackett all'epoca Genesis, vuoi per timidezza sua, vuoi per lo strapotere degli altri è sempre stata figura di secondo piano al quale concedere parti soliste e di spicco con molta parsimonia, parti che poi si rivelavano irrimediabilmente sublimi, seppur composte - spesso - di poche note. Grandissima prova delle sue capacità compositive la dimostrò già nel 1975 con quel "Voyage Of The Acolyte", e poi per tutta la carriera specie con i lavori interamente acustici.
Quando poi nel 1977 Hackett decise di intraprendere la carriera solista, a differenza degli altri membri, non rinnegò mai il passato e per gli oltre trent'anni successivi ha sempre presentato concerti con vari pescaggi dal materiale Genesis di varie epoche.
In questo periodo Steve Hackett è in giro per il mondo per un ennesimo tour e, visti i trascorsi, non può, non deve, esimersi dal toccare l'Italia con un po' di date. Il popolo dei concerti hackettiani è sempre lo stesso, ci si conosce tutti, ci si saluta, ci si guarda con espressioni che valgono: "Anche questa volta siamo qui", tutti amici, come Hackett stesso ci insegna e ci dimostra nel contatto post concerto in cui si presta a foto, autografi, domande, chiacchiere sul futuro ecc. E quando ti trovi vis-à-vis a domandargli come gli sembra sia andata la serata, lo ringrazi per quello che ha saputo donare ai fan e vedi quel sorriso che gli si apre dal cuore, capisci che non importa che lui sia Steve Hackett, che abbia scritto quelle pagine di rara bellezza che conosciamo, che sia una delle poche star del progressive che ancora, con coerenza, sappia portare avanti un discorso, rinnovandosi continuamente, quello che importa è che sei lì e stai stringendo la mano ad un amico, che ti sta facendo battere forte il cuore.
Savona è a 240 Km, ma la conosco bene: per noi nordici le vacanze si fanno spesso da quelle parti e un viaggio per Steve lo si fa con piacere, per di più in una terra che mi appartiene al 50%. La location credo sia tra le più belle mai viste la Fortezza del Priamar, con oltre tremila anni di storia alle spalle e una Piazza d'Armi dalla fenomenale acustica dove sistemare il palco in maniera azzeccatissima.
Poi c'è anche il concerto, sì. Due ore di emozioni continue: una girandola di brani che ripercorrono una carriera unica per coerenza e serietà, soffermandosi su momenti apicali di dischi come "Out Of The Tunnel Mouth", "Spectral Mornings", "Defector" oltre, ovviamente, il citato "Voyage Of The Acolyte" e una serie di brani periodo Genesis.
E sono proprio questi ultimi a far esagitare e emozionare maggiormente il pubblico: "Firth Of Fifth", con il suo mitico assolo, "Fly On A Windshield", "Blood On The Rooftops" con il suo memorabile e perfetto arpeggio, "Los Endos" in una versione carica e strana come non mai, magia palpabile, tensione ed eccitazione allo stato primordiale. Le versione di tutti i brani assume aspetti inediti, grazie anche all'ottimo fiatista Rob Townsend, alle sue incursioni di chiara provenienza jazz e al bassista Nick Beggs, funambolico e fenomenale con i suoi continui cambi tra i vecchi Rickembacker e Fender e il più moderno Chapman Stick. Particolare e degno di nota il suo abbigliamento da vichinga, con treccine biondo platino che ha tratto in inganno più di uno nelle ultime file che inavvertitamente gli gridava: "Brava!". Tra i brani Hackett tenta di approcciare un po' d'italiano, la buona intenzione sicuramente supera il risultato, ma dalle prime file qualcuno gli dice di continuare in inglese che va bene comunque, il suo inglese del sud è chiarissimo. La band è molto affiatata, nelle parti corali a ben quattro elementi la fusione armonica è ottimale e anche se alla voce solista non c'è un Gabriel o un Collins anche le parti storiche hanno una loro buona resa e un significato di continuità certo. Tra i brani della carriera solista da sottolineare le ottime esecuzioni di "The Steppes" la fenomenale e intricata "Slogans" una tesissima e dinamica "Spectral Morning", dove, ancora una volta la band dimostra di saperci fare. Ovvia menzione anche per il tastierista Roger King, da anni con il leader, e per il batterista e voce solista Gary O'Toole scapestrato e un po' buffone, ma dotato di buona tecnica, completa la band Amanda Lehmann bionda e carina, che si occupa di chitarre e cori.
Una serata da ricordare, per qualche giorno sarò ancora in riviera e incontrerò alcuni amici conosciuti al concerto, questo è l'aspetto più bello, ma il concerto di Hackett, come sempre mi lascia una sensazione di piacevole e positiva nostalgia con emozioni che si intrecciano e si espandono per lungo tempo. Vorrei seguirlo in altre date del tour, forse ... chissà.
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