Recensire un lavoro di Steve Vai comporta inevitabilmente una grande attenzione nel seguire tutte le sue evoluzioni artistiche e la capacità di dare un giudizio, il più possibile obiettivo ed oggettivo, al di là delle proprie legittime preferenze musicali.
Proprio come i suoi più grandi maestri, Frank Zappa e Jimi Hendrix, Vai ha dedicato il suo enorme talento alla sperimentazione ed alla continua ricerca di nuovi orizzonti da varcare, quasi come a voler sfidare se stesso, mettendosi perennemente in discussione, senza mai adagiarsi su schemi canonici, virtuosismi di facile impatto, melodie scontate e di immediata fruizione.
E così, dopo un battesimo di fuoco con Zappa, dove oltre a risultare il suo più brillante allievo, ebbe anche modo di forgiarsi del titolo di "trascrittore di pezzi impossibili", inizia una carriera votata al cambiamento ed all'insegna di una chitarra senza limiti nè frontiere, passando da "Flexable" all'incontro-scontro con il grande neoclassicismo di Yngwie Malmsteen negli Alcatrazz, dai gloriosi anni con Diamond Dave Lee Roth, alla collaborazione con i Whitesnake di Coverdale, per tornare poi alla sua amata carriera solista, con il capolavoro per antonomasia della fusion "Passion and Warfare" e tanti altri lavori, fra i quali il fondamentale apporto al progetto G3 di Joe Satriani.
Nel 1996 esce questo album dal titolo "Fire Garden", che in realtà può a buon diritto considerarsi un doppio cd racchiuso in uno, ben 74 minuti e più di musica, con un ulteriore duplice suddivisione in "phase 1" composta da nove brani interamente strumentali e "phase 2" con tutte partiture vocali ad eccezione del diciottesimo episodio, "Warm Regards", che risulta interamente strumentale ed uno dei momenti più intensi e brillanti dell'intero lavoro.
Si parte con un incipit indubbiamente piuttosto aggressivo, dato da "There's a Fire In The House", che ribadisce nel titolo la presenza del fuoco come elemento naturale dominante, per poi arrivare a sonorità più meditate ed introspettive; "The Crying Machine", "Dyin' Day" e "Hand On Heart" offrono all'ascoltatore, in una prospettiva olistica, l'evoluzione che Steve Vai ha maturato nel corso di una lunga carriera e rappresentano gli esempi più fulgidi di come ora la parola "feeling" sia in totale simbiosi con le innate capacità tecniche e virtuosistiche, pervadendo ed incendiando l'anima ed il cuore con infinite vellutate emozioni.
Ma l'estro creativo di Steve è grande, si sa e lo porta sovente molto lontano, quasi come un novello Ulisse in viaggio per varcare "le colonne d'Ercole" e l'orizzonte del "Giardino di Fuoco" si sposta magicamente nel profondo Oriente di "Bangkok", pregevole tappeto sonoro che introduce, a conclusione della prima fase, la poderosa "Fire Garden Suite", brano di assoluta genialità ed anticonformismo nonchè, senza ombra di dubbio, uno dei più ambiziosi di tutto il suo iter musicale. La seconda parte di questa opera vede uno Steve Vai anche in veste di vocalist e, a differenza di tanti altri chitarristi, mostra una certa propensione a dare espressività alle proprie canzoni anche attraverso la propria ugola; chitarra e voce si fondono, dando vita a brani anche di forte impatto e pathos, come "Little Alligator" o ancor più "Brother" dove le riminescenze hendrixiane trovano la loro più alta rappresentazione, in una lettura assolutamente personale e moderna o la dolce e suadente, quasi americaneggiante "All About Eve", ma è "Warm Regards" la vera e propria ciliegina sulla torta; si ritorna a 4 minuti di chitarra magistralmente interpretata, una lezione di stile e classe in un crescendo di vere ed intense emozioni, da ascoltare, amare e forse anche un po' sognare: signore e signori, questo è Steve Vai!
Carico i commenti... con calma