Mettete da parte ideologismi e pregiudizi politici. Accantonate per un attimo l'eroe, l'icona, il volto della celebre foto di Alberto Korda, effige stampata su milioni di magliette e bandiere rigorosamente esibite al concertone del 1° maggio, e simbolo di un'ideologia ormai al servizio del consumismo capitalista.
Steven Soderbergh, dopo sette anni di ricerche e documentazioni, vi fornisce un'altra versione del dottor Ernesto Guevara de la Serna. Quattro ore di accurata, dettagliata, a tratti puntigliosa, biografia a carattere documentarista, suddivisa in due episodi: il primo, oggetto della recensione, sulla partecipazione alla rivoluzione cubana, dallo sbarco presso Playa de las Coloradas fino alla presa di Santa Clara, e la ricostruzione del discorso pronunciato alle Nazioni Unite, in qualità di Ministro dell'Industria del governo Castro; il secondo, "Guerriglia", ambientato sui campi di battaglia della foresta boliviana sino alla morte, nel 1967.
"L'Argentino" si apre con l'incontro, in Messico, di Ernesto Guevara e Fidel Castro (un Demìan Bichir dalla gestualità quasi ipnotica) e subito prosegue con lo sbarco a Cuba degli 82 ribelli che puntano alla caduta del regime del dittatore Fulgencio Batista. L'azione prosegue nella giungla della Sierra Maestra dove le fila del Movimento 26 luglio si ingrossano grazie all'arruolamento spontaneo. Il racconto attraverso gli episodi descritti nel "Diario della rivoluzione cubana" si alterna, in un susseguirsi di flashback, al bianco e nero di un'intervista concessa a New York durante la visita del 1964, e al famoso discorso di attacco all'imperialismo statunitense tenuto all'ONU, e concluso col celebre proclama "Patria o muerte". Con questi innesti sembra quasi che le parole di Guevara fungano da spiegazione e base ideologica alle azioni della lotta di liberazione con cui si alternano. Questa soluzione di rappresentare le azioni di guerriglia in maniera cruda e realista, ma frammentata in microepisodi, fa perdere alla ricostruzione efficacia, intensità e pathos.
In tutto questo alternarsi di frammenti di azione e proverbiali "momenti lenti" (qualche sbadiglio ci scappa), non un cenno alla formazione e alla gioventù di Guevara, nessun tentativo di fornire un chiarimento alle ragioni che hanno spinto un giovane argentino colto e di buona famiglia a combattere a fianco dei contadini cubani, nessuna spiegazione alla sua dedizione al progetto di estendere la lotta armata al resto dell'America Latina, nessun riferimento al contesto storico di contrapposizione USA-URSS o ai rapporti del governo Castro con l'Unione Sovietica.
L'interpretazione del Che di Benicio Del Toro (dalla sorprendente somiglianza fisica) si concentra sui tratti umani: gli attacchi d'asma e il sigaro fumante; l'irrequietezza e l'ambizione; la fermezza e la coerenza; la temerarietà e l'onestà; l'amore per la libertà e la giustizia e la fragilità; ma, su tutto, il carisma che incarna le speranze di un popolo che, dopo la presa di Santa Clara, lo acclamerà come un eroe.
Il progetto era ambizioso e, al momento, non sembra essere stato del tutto evaso... Lo schema atipico e frammentario non paga. Vedremo con la seconda parte.
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