Dopo la consacrazione attraverso "In Step", nel 1990 Stevie Ray torna a lavorare col fratello Jimmy Vaughan, collaborando dapprima nell’album “Under the red sky” di Bob Dylan e pubblicando successivamente Family Style.
Grazie a quest’album Stevie Ray rivince due Grammy come «Best Contemporary Blues Recording» e come «Best Rock Instrumental». Ma, dopo il lungo periodo di cura disintossicante e di lavori in studio, la gran voglia di tornare on the road lo porta ad una serie lunghissima di concerti al fianco di artisti del calibro di Eric Clapton, Buddy Guy e Robert Cray: senonchè, dopo il concerto di Alpine Valley dell’ agosto di quell’anno, Stevie ed altre 4 persone facenti parte dell’entourage sono a bordo di un elicottero diretto a Chicago che non arriverà mai a destinazione, schiantandosi contro una collina a causa della fitta nebbia: non si salverà nessuno.
Così, la sua storia artistica diventa mito come altri che l’avevano tragicamente preceduto: la sua morte alimenta un interesse per la sua opera crescente anno dopo anno, anche perché c’era molto materiale inedito da pubblicare. Ad iniziare da quello incluso in "The Sky Is Crying" (1991), vero e proprio album postumo, che gli vale un altro Grammy come «Best Contemporary Blues Recording» e nel quale un'altra rivisitazione hendrixiana, questa volta del brano “Little Wing”, si rivela ancora una volta non una semplice imitazione, ma un autentico capolavoro che gli vale un altro Grammy come «Best Blues Instrumental» (entrambi i premi vengono ritirati da Jimmy che curerà tutta la discografia successiva alla scomparsa del fratello minore, centellinando il molto materiale inedito dell’artista nelle varie pubblicazioni che si susseguiranno e, soprattutto, nei numerosi Bootlegs).
Altri brani strumentali in cui trasuda l'estro di questo immenso blues guitar player sono "Wham" e soprattutto "So Excited", mentre in "Chitlins Con Carne" SRV si mostra ancora a suo agio nello stile in cui sarebbe approdato: vale a dire il (Free) Jazz. Anche se non eccelso, Stevie è anche un buon cantante come testimoniano ulteriormente la title-track "The Sky Is Crying", l'accattivante "Close To You" e la bellissima ballad "Life By The Drop" in cui Vaughan suona la 12 corde presente nella cover. Nel complesso, il lavoro altro non è che un puzzle e ne risente: per cui è inferiore ad altri. Ci siamo sempre chiesti cosa avrebbero potuto ancora fare gente Jimy Hendrix, John Lennon, Jim Morrison, Janis Joplin, Marc Bolan, Bon Scott, Freddie Mercury, Ronnie Van Zant e molti altri prematuramente scomparsi: la domanda è d’obbligo anche per Stevie Ray Vaughan. A parziale consolazione c’è una discografia successiva molto ricca che ci mostra quest’artista in tutte le latitudini e ci avvicina molto a coglierne l’essenza (anche se la notevole mole di materiale pubblicato aveva reso molto scarno, era inutile ripetersi, il primo, ufficiale, Greatest Hits del 1995, impreziosito, ad ogni modo, dall’inedita cover “Taxman” dei Beatles e scritta dal compianto George Harrison che apre l’ album: una vera e propria chicca).
È, in particolare con il nuovo millennio che la carriera discografica uscita postuma alimenterà notevolmente il culto del mito di Vaughan ed in tal senso, bisogna dare il giusto merito a Jimmy Vaughan che ha gestito veramente con amorevole cura tutto il materiale in archivio contribuendo, come meglio non poteva fare, alla causa del fratello minore scomparso: per il quale, insomma, viene più difficile parlare di un «artista maledetto» come nel caso di altri che hanno avuto lo stesso destino. Nel senso che, sebbene Stevie Ray non sia più tra noi da tanto tempo, grazie al copioso e sorprendente materiale inedito, saggiamente (ci tengo a ribadirlo perché, purtroppo, è un’eccezione) pubblicato dopo la sua morte, è risultata meno dolorosa la sua assenza tra i vivi. I più giovani che vogliono sottrarsi al bombardamento mediatico che ha contaminato tutta la musica attuale, possono andare in un negozio e trovare tra gli scaffali questo tremendo chitarrista con il suo inseparabile cappello texano ed il suo blues che strizza l’occhio al funky ed al jazz.
La passione per questo genere musicale lo porta ad emulare maestri come Jimy Hendrix ed Albert King fra tutti: alla tecnica del primo si ispira nel ricorso agli effetti timbrici più disparati a quella del secondo, invece, nel trattamento della singola nota. Questi come altri personaggi del blues vengono emulati senza che ciò equivalga a plagio: SRV ha semplicemente deciso per un totale asservimento della propria tecnica, aggressiva ed accattivante, al divertimento ed alla comunicativa com’è tipico in questo genere fin troppo sottovalutato dal pubblico, specie europeo. Inoltre, a differenza di altri protagonisti del genere che danno il meglio di se stessi principalmente dal vivo (le esibizioni on stage di Jimy Hendrix, per fare il più classico degli esempi, hanno raggiunto vertici inarrivabili per qualsiasi altro a prescindere dal genere musicale interpretato), anche nei dischi in studio di Stevie Ray traspare tutto il suo personalissimo legame con il genere che amava interpretare. Egli non si è mai sentito un protagonista del blues; egli era un amante del blues che non si atteggiava mai a divo: non sorprendono, pertanto, i numerosi attestati di simpatia oltre che di stima.
Ciò lo ha reso unico, mentre il suo modo di suonare il blues ha fatto scuola: perché il feeling che tramette una qualsiasi song (dalla più impegnata alla più spensierata) ti crea un irrefrenabile desiderio (solo un sogno per altri come me che hanno avuto un approccio difficile con la chitarra) di tirar fuori una stratocaster d’annata, infilare il jack (magari) in un buon twin reverb ed eseguire tecnicismi più o meno complessi, lasciando al plettro il compito di far «cantare» le note distorte, senza ricorrere alle oramai canoniche nove dita sulla tastiera, tipica dell’ hammering dei vari seguaci di Van Halen, Satriani, Vai e Malmsteen (verso i quali nutro, peraltro, molta stima e, nel caso del primo, incommensurabile ammirazione).
Un artista-personaggio davvero irripetibile che va a rinforzare la fila dei grandi chitarristi citati. Cionondimeno, non può che rimanere l’amaro in bocca se pensiamo a quanto di delizioso e di gustoso Stevie Ray avrebbe potuto ancora riservarci, se non fosse intervenuta la sventura a sbarrargli inesorabilmente la strada. Ai suoi funerali erano presenti parenti, amici e molti illustri colleghi ma nessuno ha saputo o voluto confermare se è vero che al suo fianco sia stata sepolta anche “Number One” : la celebre stratocaster con le iniziali SRV stampate sul body e fedele compagna nella breve ed esplosiva carriera artistica di questo mito assoluto del blues.
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