Nel 1996 il grunge languiva, Kurt Cobain era un pallido fantasma e nelle classifiche spopolava la penosa flanella prêt-à -porter di Bush, Silverchair e compagnia lagnante.

In un momento in cui persino i divini Soungarden abdicavano, pubblicando l’indecente “Down on the upside”, furono i tanto vituperati Stone temple pilots a sfornare un disco con le palle. Istrionico senza esagerare, inusitatamente variegato, “Tiny music... songs from the Vatican Gift Shop” eludeva con fantasia le trappole del déjà vu, proprio come i coevi Pearl Jam avrebbero fatto di lì a poco con il crepuscolare “No Code”.

Concependo questo album in un periodo in cui il cantante Scott Weiland entrava e usciva di galera per problemi di droga, i Pilots riuscirono a rimanere vivaci quanto basta per lasciare il segno. L’impeto grunge-zeppeliniano che aveva fatto la fortuna dei precedenti “Core“ e “Purple” echeggia soltanto qua e là fra questi solchi, come nel turbinoso incedere di “Tumble in the rough” o in ”Trippin’ on a hole in a paper heart”. I singoli estratti non riservano la ballatona strappalacrime alla “Creep”, ma un paio di numeri alla Cheap Trick quali “Pop’ s love suicide” e “Big bang baby”. Benché non siano memorabili come la “Vaseline” del disco precedente, sono tuttavia due episodi azzecati. Questa vena pop-rock risulta gradevole anche in pezzi come “Lady Picture show” e “Art School girl”, laddove “Ride the cliché” viene arricchita da squisiti echi shoegaze alla Slowdive. Le parti di chitarra non sono più dirompenti come in passato, ma guadagnano in varietà e ed efficacia.
Ciò si evince anche nei discreti ammiccamenti jazz-bossanova di “And so I know” e “Daisy” . Tra i classici del gruppo invece sono da inserire “Adhesive” e “Seven caged tigers”. Il primo è un numero folk dalle parti del primo Tim Buckley, appena vivacizzato da sorprendenti parti psichedeliche e da uno splendido assolo di tromba, con strascicati vocalizzi di un Weiland decisamente ispirato . ll secondo sviluppa una intrigante versione shoegaze dei Jane’s Addiction, la cui “Classic girl” viene evocata nel finale.

Niente di stancamente grunge: "Tiny music… songs from the Vatican Gift Shop” è semplicemente l’opera più verace di una grande band.

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