Può capitare. Anche ai migliori. Anche a coloro che questo genere lo hanno di fatto rigenerato dallo stato comatoso in cui si trovava ad inizio anni '90, avvicinando nuove generazioni di metalhead con piccole gemme quali ''Episode'' e ''Visions''. Può capitare di smarrirsi a metà tra i meandri di una dozzinale prevedibilità stilistica e le degenerazioni superuomistiche del tuo Deus Ex Machina sbandando tra lavori scontati e prolissi, tra velleità sinfoniche e voci femminili assolutamente incomprensibili, sprofondando giorno dopo giorno inevitabilmente verso l'oblio e lo scioglimento, così, senza colpo ferire, senza avere nemmeno il tempo di salutare i propri fan come si deve.

Poteva essere questa la parabola degli Stratovarius del nuovo millennio ed invece, ad un anno e mezzo dal modesto e piatto ''Polaris'' che aveva avuto però l'unico merito di indirizzare la band verso una fase pulita della sua carriera dopo il disastro omonimo del 2005 (chi si ricorda ancora di una certa Miss K.?), ecco giungere sul mercato "Elysium", tredicesimo lavoro dei Power metaller finlandesi, che può essere considerato a tutti gli effetti la prima uscita di rilievo in campo metal in questo neonato 2011. Mentre l'ex leader Timo Tolkki entra ed esce in continuazione dagli ospedali a causa di una depressione cronica che ne mina sempre di più la voglia di restare in questo mondo (a voler essere maligni si può aggiungere che la parentesi Revolution Renaissance non è che suggerirebbe il contrario!), i senatori Kotipelto, Johansson e Michael si sono rimboccati le maniche provando a far risalire dalla melma una dei nomi più significativi della scena classica europea.

Pare spirare una brezza nuova in casa Strato, lo si intuisce dalla rinnovata voglia di stupire il pubblico e se stessi e sperimentare soluzioni inconsuete, di voltare definitivamente pagina rispetto al passato; non un salto in alto da far strappare i capelli, sia chiaro, ma, oltre a mettere sul piatto idee fresche, sembra palese anche la prospettiva di regalare lo spazio auspicato un pò a tutti, vecchie glorie e nuove leve, come si evince schiettamente dall'opener (e singolo) ''Darkest Hours'' un pezzo già buttato in pasto ai fan da qualche settimana, dove a farla da padrone sono le linee melodiche calzanti e il tessuto tastieristico sempre benefico di Jens Johansson. Gli ultimi innesti Lauri Porra al basso e il talentuoso Matias Kupiainen alla chitarra sono diventati oggi parte irrinunciabile del progetto (il secondo ha addirittura composto il grosso delle tracce), la voce di Timo appare di nuovo a suo agio non dovendo, come in passato, arrivare a note che sembravano astronomiche persino per un soprano, il lavoro dietro le pelli di Jorg (tieni duro mi raccomando!!) risulta preciso e mai banale. Ciò che ne esce fuori sono 56 minuti assai eterogenei, che spaziano su una vasta platea di umori collaudando efficacemente moderne armi musicali come nell'imponente solennità di ''Infernal Maze'' che si dipana aggressiva per poi esplodere in una parte centrale solistica da leccarsi i baffi, oppure nel fiero mid-tempo effettato dal forte sapore industrial di ''Lifetime In A Moment''; o, ancora, nel superbo ritornello di ''Under Flaming Skies'' dove a spiccare sono le doti espressive di Kotipelto e la doppia cassa di Michael.

Peccato (e sottilineo peccato) per la presenza di canzoni che non tagliano completamente il cordone ombelicale coi tempi andati, come a voler raccogliere più consensi possibile (questo, per me, è il maggior difetto degli Stratovarius odierni) e mi riferisco alla spenta e per certi versi banale ''Fairness Justified'' (salvo soltanto l'assolo di Matias) e, ancor di più, alla strasentita ''Event Horizon'' che sembra una b-side lasciata marcire per anni in un cassetto e rispolverata a modino per l'occasione (leggi filler). Citate la carina (e nulla più) ballad ''Move The Mountain'' (ahhh... quanto rimpiango i tempi di ''Forever'') e la diretta ''The Game Never Ends'', possiamo concludere questo excursus fra i brani confermando che i pezzi che riconducono a schemi già battuti e ribattuti rappresentano la reale zavorra di questo platter e lo dimostra ancor meglio la magniloquente, temeraria ed interminabile (18 minuti) title-track conclusiva, così articolata e succulenta come solo le suite prog-rock anni '70 sapevano essere, che necessita obbligatoriamente di innumerevoli ascolti per venire compresa e apprezzata appieno.

Non è nelle mie corde ma per una volta voglio fare il ragioniere: otto pezzi (la suite è una chicca a parte), tre dei quali davvero riusciti, altrettanti nella media, i due restanti anonimi e trascurabili, una produzione, per forza di cose, ben fatta ed un artwork splendido come e forse più di ''Polaris'' (solo che lì era una delle pochissime cose decenti) fanno di ''Elysium'' un discreto lavoro, l'album più interessante da 11 anni a questa parte (da ''Infinite'' per capirci). Ma quello che conforta più di ogni altra cosa, come inteso sopra, è il profumo di nuovi germogli sbocciati nella glaciale landa finnica che si percepiscono nell'aria e che fanno ben sperare per il proseguo di questa terza incarnazione degli Stratovarius.

Certo, progredendo di questo passo, un nuovo ''Visions'' verrà alla luce forse nel 2030 ma i presagi, cari colleghi, sono fatti per essere sovvertiti.

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