Entrare nelle vite degli altri: io non ci sono mai riuscita.
Quando distribuivano l’empatia, io guardavo la fila e mi chiedevo che stessero facendo, prima di stringermi nelle spalle e andarmene per farmi i cazzi miei. È per questo che le emozioni degli altri mi risultano indecifrabili anche quando sono palesi, mi imbarazzano e mi annichiliscono. Altre volte, invece, non scalfiscono nemmeno la mia indifferenza.
La mia inadeguatezza finisce col farmi mettere quello che sento io davanti a quello che sentono gli altri. Mi rende egoista e disattenta, fredda, distratta, terrorizzata.
E io mi paralizzo, non so che fare, come muovermi, non so quale sia la parola adatta, il gesto adeguato. Non so quello che bisognerebbe dire né quello che non bisognerebbe dire.
Nei panni degli altri non posso entrarci (ma questo neanche fisicamente).
Però c’è questo disco che, per una volta, non mi fa intravedere il mio dolore in quello che ascolto, ma quello di qualcun altro. Il senso di perdita, la tristezza, la nostalgia, il risentimento, i rimpianti, gli affetti, i ricordi prendono vita, si delineano sempre più chiari, un ascolto dopo l’altro.
Io non so se l’empatia si possa allenare come un muscolo, ma Carrie & Lowell è ormai un ascolto in repeat da mesi. Forse, alla fine, è come guardarsi allo specchio, rivedersi in qualcun altro e, per una volta, capire davvero.
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