“Astro Coast” ha il sapore della salsedine di stabilimento. Goliardico come una scopata notturna sulla spiaggia con una tizia che hai conosciuto un’ora prima ad una festa (cosa che mi capita spesso).

I Surfer Blood sono il fermo immagine di migliaia di roventi cortili della Florida con annesse piscine, dove viene lasciato a macerare lo scazzo adolescenziale. Tutto è pervaso da un sole opulento, svogliato, stanco. Da qui il bisogno di convogliare tutta quest’apatia in energia.

La ricetta per risvegliare il torpore qualunquista delle nostre sieste pomeridiane consiste in un impianto sonoro poderoso. L’impatto di queste dieci canzoni è paragonabile ad una secchiata in faccia.

La cosa migliore che hanno saputo fare i poco più che ragazzini di West Palm Beach è stato conferire a quest’album un clima indecifrabile. C’è la leggerezza del miglior lo-fi nineties Pavement, il marasma garage Pixies e l’incazzatura pop degli Weezer. Il mood è sarcastico, le melodie catchy, i feedback e i delay dosati magistralmente. Che cacchio volete di più? Una voce alterata d’inaudita arroganza che devasta i timpani? C’è pure quella don’t worry.

Già dall’iniziale “Floating Vibes” tutte le nostre certezze vengono spazzate via da una burrasca stoner-surf.

Gli episodi migliori ce li regalano l’hard-rock tutto riverberi di “Swim (to Reach the End)” con un intermezzo da carrettino dei gelati; l’ibrida ballata fuori dal tempo di “Take it Easy”; il college-rock di “Twin Peaks” e “Fast Jabroni”, che nella prima metà strizza l’occhio agli Arcade Fire.

“Anchorage” è un riverente omaggio a un indie-concept quale “Teen Age Riot”. Piacevoli anche il garage-noise della strumentale “Neighbor Riffs” e la spensierata “Catholic Pagans”.

Cosa fate lì impalati, tuffatevi anche voi, possibilmente senza costume.

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