Quando si iscrisse alla High School Of Performing Arts di New York, Suzanne sognava di fare la ballerina. Ne uscì cantautrice, talmente talentuosa da rinverdire il fasto di Joni Mitchell – una Mitchell meno “divina” e decisamente più “terrena” – e spalancare le porte a una pletora di giovanette armate di voce, chitarra e belle speranze.
Suzanne ce l’ha fatta e con ineffabile parsimonia, figlia di un’indole riservata e schiva fino all’eccesso, ancora mi allieta.
Ultimo segnale di vita, a quanto mi risulta, questo “An Evening Of New York Songs And Stories”.
Mi tolgo subito il pensiero e, sì, ci sono quelle “Luka” e “Tom’s Diner” che diventarono quasi un tormentone (la seconda solo qualche anno dopo l’uscita e per colpa altrui) e ci sta pure “Marlene On The Wall”, che tormentone non lo è mai stato ma è senza dubbio tra le canzoni più famose di Suzanne.
Così, se questo album se lo comprasse anche chi non sa nemmeno chi sia Suzanne Vega, di sicuro ne trarrebbe piacere, si ascolta quei due brani e finalmente può associare un nome alla voce.
Ai più consapevoli, l’ascolto regala soddisfazioni ben superiori.
Si tratta di una selezione di brani tratti da due concerti a tema registrati a marzo 2019 a New York, due serate trascorse a cantare canzoni e raccontare storie che hanno come protagonista New York, qualche volta in primo piano, qualche volta sullo sfondo.
Suzanne, voce e chitarra acustica, è l’altra protagonista solitaria, tranne quando le tengono una pacata compagnia una chitarra elettrica (Gerry Leonard), un basso (Jeffrey Allen) e un piano (Jamie Edwards): non serve altro, perché Suzanne ha sempre avuto la capacità di incantare con niente, voce e chitarra o solo voce proprio come in “Tom’s Diner”.
Scorrono 15 originali, in massima parte tratti dall’omonimo esordio, il successivo “Solitude Standing” e il bellissimo “Beauty & Crime” del 2007, versioni se possibile ancora più sobrie e contenute di quelle in studio, eccezion fatta per una “Tom’s Diner” prossima al remix DNA, fuga dal canone folk subito rientrata nella successiva “Anniversary” per voce e piano, ed una “Tombstone” vivace e mossa al confine del rock, laddove su “Nine Objects Of Desire” lambiva il jazz.
Il momento più bello arriva con i 4 minuti di “Gypsy”, canzone splendida sempre e comunque, però quando Suzanne la canta accompagnandosi solo con la sua chitarra ancora di più; quello più esplicativo di Suzanne Vega lo ritrovo in “New York Is My Destination”, dal progetto “Loved, Beloved” dedicato alla scrittrice Carson McCullers, bellissimo pure questo e da recuperare assolutamente.
In mezzo il rifacimento di “Walk On The Wild Side”, per convincermi definitivamente che New York me la possono raccontare solo Lou Reed e Suzanne.
“New York è una donna, ti farà soffrire e per lei sarai sempre e solo uno dei tanti”.
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