Doverosa introduzione: 

ci sono album, per ogniuno di noi, che non riusciremmo a descrivere e/o a giudicare con obbiettività. Questo è il mio giudizio meno obbiettivo per il disco che obbiettivamente ritengo il migliore che ho mai sentito.

Doverosa recensione:

Dopo una carriera equamente divisa tra ottimi dischi, capolavori, e capolavori assoluti, gli Swans arrivano al capolinea. E' il 1996. Il gruppo oramai, di fatto, non esiste più; c'è solo il suo leader, Michael Gira, personaggio tanto difficile quanto affascinante e tormentato, uno che di cose da dire sembrava non averne mai abbastanza; il gruppo oramai era lui, e basta. La sua stessa compagna di vita e d'arte Jarboe appariva quasi tagliata fuori dalla nuova incarnazione della band, limitata a poche effettive apparizioni in fase compositiva, solo 3 canzoni su 26, e confinata a cori e tastiere nelle altre. Doveva essere per il leader qualcosa di troppo importante, quest'album: il capolinea di 15 anni di various failures, di idee e sacrifici, che pure mai portarono il gruppo ai risultati di visibilità sperati. Doveva aver pensato a scrivere il vero testamento degli Swans, Mr. Gira. Troppe idee c'erano ancora nel cassetto e troppa era l'urgenza di sbatterle in faccia a tutti. Ritroviamo tutte queste idee in quasi due ore e mezza di musica, in questo doppio cd che più che un album appare un vero e proprio flusso di coscienza, quasi che l'autore volesse dire in una volta tutto ciò che gli era rimasto dentro per tutto quel tempo, quasi a voler strappare con un colpo secco l'anima del Cigno dal corpo per mostrarla nuda a tutti, sì, a tutti quelli che volevano vederla per come era davvero. L'operazione era troppo delicata per affidarla a medici che conoscessero il paziente, e allora Gira si circonda di session men, di specialisti, di gente davvero in grado di svolgere il proprio compito senza inficiare con il sentimento personale quello dell'autore. L'anima qui presentata è quella di Gira, poche storie. Gli interventi stessi di Jarboe sembrano quasi lapsus scaturiti dalla mente di Uncle Mike stesso, da una parte assoluto padrone dell'entità Swans, dall'altra posseduto dall'entità Swans stessa.

Ma, direte voi, e la musica? La musica è davvero quanto di più vicino all'espressione dell'animo potreste pensare: strati e strati di drones e tappeti tastieristici, suoni trovati, samples e dialoghi tratti da chissà quale film o da chissà quale polveroso archivio fanno da corpo a splendide e dilatatissime ballate ("Helpless child", "The sound"), subitanei assalti elettrici ("Yum-yab killers"), techno dall'altro mondo ("Volcano"), sperimentalismi brado ("I was a prisoner in your skull", "Animus"), esplosioni assordanti ("All lined up", "Yrp"), aperture quasi classiche ("How they suffer"), disturbati valzer ("Red velvet wound"), droni cacofonici assortiti ("I love you this much", "Surrogate drone"), brevi intermezzi acustici ("Fan's lament", "Blood section"). Insomma, quanto di più eterogeneo possiate pensare, senza mai che l'opera scivoli fuori contesto o risulti dispersiva, al contrario, risultando questa di una omogeneità disarmante. 

Inutile stare a girarci intorno, ci troviamo di fronte all'opera magna degli Swans. Certo, la più sperimentale, la più diversa, per certi tratti la più eccessiva e disturbante, ma senz'altro la più vera, quella in cui l'artista, non avendo più nulla da dimostrare e nulla da perdere, si esprime al massimo e senza freni, senza censure, con la forza di chi vuole chiudere la carriera come l'aveva iniziata, incorrotto e incorruttibile.

Doverosa conclusione:

Sì, lo ammetto, è il mio disco preferito della band che preferisco tra le mie preferite. Se mi chiedessero il disco più bello degli Swans direi senz'altro "Children of god". Ma se mi chiedessero il disco più bello del mondo, non esiterei un attimo: "Soundtracks for the blind"!

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